Da Pittsburgh a Lugano, dalla Pennsylvania al Canton Ticino. Lo stabilimento sardo di Portovesme passa dagli americani di Alcoa, uno dei colossi mondiali dell’alluminio, agli svizzeri di Sider Alloys, compagnia fondata nel 2011, molto più piccola del gigante nord americano ma in forte crescita, con una rete commerciale che, oltre l’Europa, copre anche Stati Uniti, Canada, Sud America, Asia e Africa.

L’ACCORDO è stato firmato ieri a Roma nella sede del ministero dello sviluppo economico (Mise). Insieme con il ministro Carlo Calenda e con il presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, c’erano Giuseppe Mannina l’amministratore delegato del gruppo svizzero, e Domenico Arcuri, l’ad di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti che dal 2016 ha di fatto preso in gestione gli impianti di Portovesme con l’impegno di trovare ad Alcoa un compratore.  «Per noi – ha detto Calenda nella conferenza stampa seguita alla firma dell’accordo tra Invitalia e Sider Alloys – la vicenda Alcoa è simbolica, oltre che concreta, perché la crisi di questo sito industriale nasce dall’idea che determinate produzioni in Occidente – e in particolare in Italia – non si possano più fare. Un concetto che non condividiamo. L’Italia è importatrice di alluminio e per noi è importante aver dato una prospettiva all’azienda e agli operai».

L’ACCORDO ARRIVA alla fine di una lunga e dura battaglia condotta dagli operai per salvare gli impianti dalla chiusura. Nel 2009 Alcoa ha annunciato un drastico piano di riduzione degli organici (900 addetti tra diretti e indotto). Costi di gestione troppo alti, dicevano i manager di Pittsburgh, causati dall’elevato prezzo dell’energia, dall’aumento nei listini di mercato delle materie prime e dalla scarsa produttività degli impianti, tecnologicamente obsoleti a giudizio degli americani. Immediata la mobilitazione degli operai, con un lungo braccio di ferro tra azienda e Cgil, Cisl e Uil che si è concluso nel 2012 con la decisione di Alcoa di chiudere lo stabilimento. Una nuova e determinata risposta sindacale ha indotto il ministro Calenda e la giunta regionale sarda a intervenire – una volta tanto rapidamente – per salvare fabbrica e posti di lavoro. Dopo una prima trattativa, fallita, per vendere gli impianti a Glencore, multinazionale anglo-svizzera dell’alluminio, il Mise ha deciso di far entrare nella partita Invitalia, che dopo aver preso in carico la fabbrica di Portovesme s’è mossa per trovare un acquirente. E alla fine ha chiuso con Sider Alloys.

IL PIANO del gruppo di Lugano prevede la produzione di circa 150 mila tonnellate annue di alluminio primario e l’inserimento di 376 lavoratori diretti e 70 a contratto. Gli svizzeri si sono impegnati a riprendere la produzione nel giro di sei mesi grazie a un piano di investimenti di 132 milioni di euro. Dal Mise arriveranno 8 milioni a fondo perduto e un finanziamento a tasso agevolato da 84 milioni da rimborsare in otto anni (8 milioni li mette la Regione Sardegna). Altri 20 milioni arriveranno da Alcoa per il riavvio dei macchinari. Il resto, 12 milioni, è garantito da Sider Alloys. Decisiva, nel convincere gli svizzeri ad accettare l’offerta di Invitalia e del Mise, è stata l’approvazione della «legge per le industrie energivore», passata lo scorso novembre dalla Camera. È grazie a queste nuove norme che, tramite un accordo di cui si fa garante il governo, l’Enel potrà vendere a Sider Alloys energia elettrica a costi scontati.

IERI in conferenza stampa Calenda ha detto di aver chiesto a Invitalia di considerare la possibilità di entrare direttamente nell’azionariato di Sider Alloys per dare maggiore solidità finanziaria all’operazione. «Ho anche chiesto a Invitalia – ha aggiunto Calenda – di pensare se sia plausibile, d’accordo con Sider Alloys, riservare una quota della società  ai lavoratori che hanno combattuto per tenere l’impianto aperto».

DAI SINDACATI vengono reazioni insieme di soddisfazione e prudenza. «L’accordo è positivo – dicono i dirigenti della Cgil sarda – Ora si tratta di vedere nel dettaglio i contenuti del piano e i tempi di attuazione. Per il momento, da questo punto di vista, siamo al buio».