Nel grande scrigno della biodiversità siciliana c’è una varietà di albicocca molto precoce, spesso sfaccettata di rosso, dal profumo e dal sapore intensi, delicata, coltivata con pratiche agronomiche sostenibili e di produzione limitata. Di solito si raccoglie dalla fine di maggio per due, tre settimane al massimo nel territorio del piccolo comune di Scillato, poco più di seicento abitanti, a una sessantina di chilometri da Palermo.

Bontà e qualità non hanno però evitato a questo frutto il rischio potenziale di scomparire, tanto che nel 2013 per cercare d’impedire che ciò avvenga è nato un presìdio Slow Food che può contare sull’impegno e la passione di alcuni giovani del luogo.

Il paesino si trova sul lato sud-occidentale del parco delle Madonie, in una zona ricca di sorgenti che soddisfano parte del fabbisogno idrico della città di Palermo attraverso un acquedotto in funzione dai primi del ’900, al quale è da tempo diventato necessario affiancarne uno nuovo a causa di danneggiamenti e relative perdite riguardanti alcuni tratti delle vecchie tubazioni.

Le antiche e copiose acque sorgive di Scillato hanno contribuito a rendere fertili i terreni delle campagne circostanti, tradizionalmente caratterizzati da oliveti e frutteti fra cui una rinomata varietà di arancia bionda coltivata da oltre un secolo. L’albicocco Scidditàro (con riferimento dialettale al toponimo) nasce invece da un ecotipo individuato alla fine degli anni ’60 nel territorio di Scillato attraverso selezione operata dagli stessi agricoltori su piante di genealogia sconosciuta. È una tipologia molto precoce che viene spesso definita «maiolino», per l’epoca di maturazione, con alcune caratteristiche specifiche in merito alla piccola dimensione, alla deliquescenza del gusto con tratti di straordinaria qualità gustativa. È resistente alla cosiddetta mosca della frutta e alle più comuni patologie fungine in maniera biologica, riducendo se non eliminando l’utilizzo di pesticidi e di trattamenti chimici più in generale.

Per una trentina d’anni la produzione di albicocche a Scillato si era aggiunta a quella degli agrumi rappresentando uno dei principali settori lavorativi. Con l’arrivo del terzo millennio il copione è purtroppo diventato comune a quello di tanti settori agricoli artigianali e di piccoli produttori: gli effetti della globalizzazione con l’introduzione di nuove varietà, la pressione e la concorrenza di prodotti più redditizi indipendentemente dalla qualità. Ad aggravare la situazione, la mancanza di ricambio generazionale. Scenario che aiuta a comprendere meglio la valenza del presìdio e dei suoi protagonisti principali, come ci racconta Alberto Battaglia, trentacinquenne laureato in Scienze forestali. Dopo un periodo trascorso a Cordova in Spagna, Alberto si è tuffato anima e corpo nel progetto che alla salvaguardia dell’albicocca coniuga l’esigenza di una prospettiva di lavoro e il desiderio di rimanere e non emigrare.

Dall’iniziale associazione I Carusi è nata la società Terre di carùsi, che gestisce in comodato d’uso alcuni terreni appartenenti a contadini che li avevano abbandonati. Con Alberto ci sono il coetaneo Giuseppe Oddo, Angelo Nicchi che di anni ne ha 25 anni e Giuseppe Quagliana che con i suoi 49 anni è il più grande dei quattro.

«Attualmente abbiamo 4 ettari di cui 2 e mezzo già produttivi, comprendenti anche alberi di arance e olivi di cultivar nerba, tipica delle Madonie, cerasuola e biancolilla. Riguardo alle albicocche del presìdio, abbiamo recuperato vecchi impianti abbandonati e realizzato dei nuovi, aumentando la superficie coltivata. La produzione annua è stata finora di 40/50 quintali. Un terzo lo commercializziamo localmente nei mercati del contadino e presso botteghe tipiche della provincia di Palermo; un altro terzo lo destiniamo a privati, principalmente gruppi d’acquisto con distribuzione non solo regionale. L’anno scorso siamo andati in giro con un furgone per consegnare il prodotto fresco anche fuori dalla Sicilia. Poi ci sono gli appuntamenti nazionali di Slow Food come il Salone del Gusto/Terra Madre di Torino e Cheese a Bra. Un altro terzo del prodotto finora lo abbiamo utilizzato come trasformato per succhi di frutta e per una confettura al 65% di albicocche», spiega Alberto.