Una piacevole sorpresa ti aspetta quando sei a Gaza il 15 aprile. Ti permette di ‎renderti conto di quanto sia viva nella Striscia la memoria di Vittorio Arrigoni. ‎Ma non nell’esecutivo di Hamas che, come il governo dell’Anp a Ramallah, ha ‎sepolto sotto la polvere dell’oblio l’attaccamento alla causa palestinese del giovane ‎scrittore, reporter e attivista italiano brutalmente assassinato nella notte tra il 14 e ‎il 15 aprile del 2011 da un gruppo di sedicenti salafiti in un palazzo fatiscente di ‎Sudaniye. Sono le persone comuni, quelle che si incontrano per strada, che ti ‎rivolgono la parola per caso che non dimenticano “Vik”, come Vittorio è ‎universalmente conosciuto. E lo ricordano nonostante l’assedio, le decine di ‎palestinesi uccisi nei giorni scorsi dall’esercito israeliano lungo le linee di ‎demarcazione, la disoccupazione dilagante, il valico di Rafah con l’Egitto che ha ‎chiuso di nuovo, la sanità al collasso, l’elettricità che manca e tanti problemi che si ‎accumulano a vecchi problemi e rendono la vita insostenibile. ‎«Da dove vieni? ‎Italia…allora sei qui per Viturio (come lo chiamano a Gaza, ndr)» ci diceva ‎domenica uno dei poliziotti al posto di blocco che da qualche giorno si incontra ‎all’ingresso del campo propughi di Shate. ‎‎«Tu lo conoscevi?», domandiamo ‎curiosi. ‎«Non l’ho mai incontrato ma so che ha fatto tanto per Gaza».‎

Vittorio Arrigoni ha informato l’Italia su Gaza e ha seminato tra la gente di ‎Gaza un’idea del mondo, della vita, della giustizia, dei rapporti tra i popoli. Ha ‎lasciato a tutti noi un’esortazione, quel “Restiamo umani” con il quale firmò le sue ‎cronache dell’offensiva israeliana “Piombo fuso”, tra dicembre 2008 e gennaio ‎‎2009, per il manifesto. Restiamo umani nonostante tutto, ci diceva dopo aver ‎riferimento di stragi e sofferenze. Domenica Khalil Shahin, vicedirettore del ‎Centro per i Diritti Umani, l’ha ricordato al porto di Gaza, assieme ai pescatori con ‎i quali Vittorio usciva in mare nella speranza di proteggerli con la sua presenza di ‎straniero occidentale dalla Marina israeliana. In mare fu arrestato dalla Marina ‎israeliana per un unico motivo: era lì con quei pescatori. Era l’autunno del 2008. ‎Portato a Tel Aviv, dopo quasi una settimana di detenzione fu espulso. Ma tornò ‎subito, a bordo dell’ultima imbarcazione della Gaza Freedom Movement a cui ‎Israele permise di raggiungere Gaza. ‎«Il suo impegno è stato immenso per la nostra ‎gente e in difesa del diritto e della giustizia per i palestinesi», spiegava domenica ‎Shahin rivolgendosi ad amici, conoscenti e giornalisti giunti per la ‎commemorazione di Vittorio organizzata dalla cooperativa dei pescatori. ‎«Non ‎aveva timore di andare in mare pur sapendo che le motovedette israeliane ‎avrebbero potuto aprire il fuoco sulle barche (palestinesi) vicine ai limiti di pesca ‎‎(imposti da Israele ai pescatori, ndr)». Ma era anche dalla parte dei contadini. ‎Nella fascia di territorio di Gaza dove nelle scorse settimane sono stati uccisi oltre ‎‎30 palestinesi, Vittorio andava regolarmente con altri attivisti stranieri dell’Ism, ‎sperando di indurre i soldati a non sparare sui contadini diretti ai loro campi a ‎ridosso delle linee con Israele. ‎«Rischiò tante volte la vita durante Piombo fuso – ‎ha ricordato Shahin – Saliva sulle ambulanze che andavano a recuperare i civili ‎feriti in zone zone dove si muovevano i mezzi corazzati israeliani. ‎Vittorio voleva ‎restare per anni a Gaza, per continuare ad informare gli italiani su quanto accade ‎nella nostra terra. Aveva stretto legami indissolubili con le persone e i luoghi».‎

Vittorio, i pescatori, i contadini e i tanti che gli stringevano la mano quando era ‎per strada. Ma lui aveva a cuore soprattutto i bambini che impazzivano per i suoi ‎tatuaggi. E i bambini non lo dimenticano. In suo ricordo hanno piantato a Khan ‎Yunis un olivo, l’albero al quale Vittorio aveva dedicato un’ode, all’interno di un ‎ampio progetto realizzato dall’Uhcc (Comitati per la cura e la salute) e ‎dall’associazione “Oltre il Mare” con fondi messi a disposizione dalla Fondazione ‎Arrigoni. Un olivo che non è stato scelto a caso, perché è nato nel 1975 come ‎Vittorio nell’idea che possa rappresentare la continuazione della vita spezzata del ‎giovane italiano. «Nel nome di Vittorio abbiamo dato vita a un centro che è allo ‎stesso tempo un poliambulatorio per i bambini e un centro per l’educazione ‎ambientale e la conservazione della memoria. La filosofia del progetto è recuperare ‎il sorriso e la dignità di vivere come palestinesi e come esseri umani. I bambini ‎adotteranno degli alberi, impararanno a conoscerli e a curarli come avrebbe voluto ‎Vik», spiegava domenica Patrizia Cecconi di “Oltre il Mare”, mentre adulti e ‎bambini piantavano l’olivo e fissavano la targa di ceramica di Gaza con la scritta, ‎in un italiano simpaticamente errato: “Vittorio Arrigoni, Martir de Palestina”. ‎

Dei membri del gruppo che sequestrò e uccise Vik proclamandosi affiliato a ‎Tawhid wal Jihad, solo due sono in vita: Tamer Hasasnah e Khader Jram. ‎Seguirono per giorni i movimenti dell’italiano permettendo ai complici di ‎preparare il rapimento che avrebbe portato all’assassinio di Vittorio. Condannati ‎in primo grado all’ergastolo, poi a 15 anni in appello, in cella ci sono rimasti ben ‎poco, tra periodi di detenzione e altri di libertà vigilata. Sono spariti circa un anno ‎fa dopo aver lasciato la prigione. Le famiglie dicono di non sapere nulla di loro. ‎Un’altro degli assassini Mahmoud Salfiti usò un permesso per fuggire e trovare ‎rifugio nel Sinai egiziano per poi morire in Siria combattendo per l’Isis. I due ‎‎”capi” Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari dopo l’omicidio tentarono la fuga ma ‎furono uccisi dalla polizia di Hamas. Ormai importa poco. I loro nomi sono ‎polvere portata via dal tempo, quello di Vittorio è pietra scolpita per sempre nella ‎memoria della gente di Gaza. ‎