Un tragico fatto di cronaca, una poesia diventata canzone, una storia di musica e persecuzioni. Tutto ha inizio il 7 agosto 1930. Il luogo è Marion, una cittadina nell’Indiana, uno stato americano in cui la schiavitù era stata abolita per legge già nel 1820, ma in cui il razzismo non era stato cancellato. Quella notte d’estate di 90 anni fa due giovani neri di diciannove anni, Thomas Shipp e Abram Smith, vennero linciati nel centro cittadino. I due erano stati accusati di aver ucciso a colpi di pistola un operaio a scopo di rapina e aver violentato la sua compagna. I contorni del delitto non furono mai chiariti, la donna negherà di essere stata stuprata e non si seppe mai chi aveva premuto il grilletto. Shipp e Smith erano stati arrestati perché sul luogo del delitto. Ma la gente di Marion, prima ancora che la verità emergesse, prelevò i giovani dalle celle per giustiziarli: vennero picchiati a morte e impiccati a un albero. Era un episodio tristemente frequente negli Stati Uniti dove eventi del genere si contavano a decine, ma quello che lo rese unico fu la presenza di un fotografo locale, Lawrence Beitler, che scattò quella che sarà una delle foto più famose e iconiche di un linciaggio. L’immagine farà il giro del mondo: una cruda e assurda testimonianza di una vendetta razzista travestita da giustizia sommaria.

UNA POESIA
Quello che ancora oggi sconvolge di quella foto, che fu diffusa sin dal suo scatto in migliaia di esemplari molti dei quali venduti a simpatizzanti della cultura razzista, è la presenza di una folla di gente comune che assiste divertita al macabro spettacolo. La foto sconvolse l’opinione pubblica, ma impressionò in particolare un insegnate che viveva nel Bronx, a New York, chiamato Abel Meeropol. Un ebreo figlio di immigrati russi, Meeropol era un membro del Partito comunista e un attivista per i diritti civili. Era anche un poeta e firmava le sue opere con lo pseudonimo di Lewis Allan. La fotografia del linciaggio di Marion gli ispirò una poesia che intitolò Bitter Fruit, il frutto amaro, e che pubblicò su una rivista del sindacato degli insegnanti: un testo tanto poetico quanto crudo, in cui i cadaveri dei neri sono i frutti amari degli alberi del Sud.
La poesia divenne una canzone ad opera dello stesso Meeropol e attirò l’attenzione di Barney Josephson, anch’egli un ebreo figlio di immigrati che aveva aperto nel cuore del Greenwich Village di New York, il primo locale musicale non segregato, il Cafè Society. Josephson propose la canzone, il cui titolo era diventato Strange Fruit, a una delle più prestigiose star del suo locale, Billie Holiday. All’artista afroamericana gli U2 dedicheranno Angel of Harlem: ma l’angelo di Harlem era cresciuto all’inferno.
Nata come Eleonora Fagan nel 1915 a Baltimora, da ragazzina era stata violentata ed era stata in un riformatorio, si trasferì nel ’29 a New York con la madre che divenne una prostituta. A soli 13 anni Eleonora iniziò lavorare nello stesso bordello ricevendo 5 dollari a cliente. L’unico sollievo arrivò dalla musica e dalla passione per il canto. Fu così che iniziò a esibirsi nei club di Harlem. Qui fu scoperta da John Hammond il più grande talent scout nella storia della musica, l’uomo che anni dopo lanciò Aretha Franklyn, Bob Dylan e Bruce Springsteen. Hammond nel 1933 propose alla cantante, che aveva scelto il nome d’arte di Bille Holiday ma che ben presto tutti chiamarono Lady Day, un contratto facendola incidere con Benny Goodman e trasformandola in una star della scena jazz.

DENUNCIA
Nel 1939 Hammond ascoltò Strange Fruit, ne capì il valore, ma capì anche che era così trasgressiva da non poter essere incisa dalle case discografiche con cui lui lavorava, tra cui la storica Columbia. Hammond non ostacolò la Holiday, diede all’artista la possibilità di incidere il pezzo per un’altra etichetta che aveva un catalogo più alternativo, la Commodore. La canzone ebbe subito un effetto dirompente. Il New York Post scrisse: «Se la rabbia degli sfruttati degli stati del Sud avrà mai la forza di esplodere, avrà da oggi anche la sua Marsigliese». Ma per Billie Holiday quella canzone fu anche la sua maledizione.
L’idea che una donna nera cantasse davanti a un pubblico misto una denuncia contro la segregazione era insopportabile per la società razzista. E nessuno era più offeso di un funzionario governativo chiamato Harry Anslinger. Anslinger era un burocrate che si era fatto le ossa nelle forze di polizia dedicando la sua carriera alla lotta contro il traffico di alcol e droga. Nel 1930, in pieno proibizionismo, venne messo a capo del Federal Bureau of Narcotics. Era violentemente razzista e dichiarò che l’uso delle droghe era pericoloso perché faceva credere ai neri di essere al pari dei bianchi. Vide nella Holiday e nei musicisti jazz neri l’incarnazione di quello che disprezzava di più.
Lady Day proveniva da un’infanzia difficile e da un’adolescenza di violenze fisiche e morali; aveva iniziato sin da giovane a trovare un rifugio nell’alcol per poi passare alle droghe. Scandalizzato dalla denuncia di Strange Fruit, Anslinger invitò esplicitamente l’artista a non cantare più il brano davanti al pubblico, ma Billie non cedette alla minaccia. Anslinger iniziò quindi a perseguitarla facendola seguire, infiltrando nel suo entourage un agente sotto copertura che si innamorò di lei, arrestandola a più riprese per possesso di droga, impedendole di esibirsi. Dopo un periodo in prigione nel 1947, la Holiday ebbe problemi a trovare locali che la ospitassero, ma riempiva la Carnegie Hall e l’Apollo Theater e continuò a incidere.

VENDETTA
Pur tra minacce e difficoltà Strange Fruit rimase sempre nel suo repertorio. Ma la carriera di Lady Day era comunque in declino. Pagava una salute resa precaria da alcol e droghe, una lunga serie di arresti, detenzioni e problemi legali, relazioni violente. Nel maggio del 1959 Billie venne ricoverata in gravi condizioni per una cirrosi epatica. Gli agenti di Anslinger si presentarono in ospedale, perquisirono la stanza, la misero in stato di arresto per possesso di eroina e la ammanettarono al suo letto. Non uscirà mai più. Morirà il 17 luglio a soli 44 anni. Ma la vendetta del sistema contro quel brano che aveva avuto il coraggio di denunciare l’orrore del razzismo non si concentrò solo su Lady Day. Il Cafè Society venne messo sotto sorveglianza da J. Edgar Hoover, il padre padrone dell’Fbi, che aprì un fascicolo contro John Hammond che spesso portava i suoi artisti nel locale. Vennero soprattutto indagate le simpatie di sinistra del proprietario, Barney Josephson, che aveva un fratello iscritto al Partito comunista che venne arrestato. Il club chiuse nel 1949.
La repressione non lasciò indenne neppure Abel Meeropol, il padre di Strange Fruit. Nel 1940 fu chiamato a testimoniare davanti a un comitato che stava investigando la diffusione del comunismo nelle scuole, gli fu chiesto se il Partito comunista l’avesse pagato per scrivere la canzone. Nel 1945 abbandonò l’insegnamento. Nel ’54 adotterà due bambini, Robert e Michael. Erano i figli di Julius e Ethel Rosenberg la coppia condannata alla sedia elettrica per spionaggio, accusati dal governo degli Stati Uniti di aver fornito i segreti dell’atomica all’Unione Sovietica.
Meerpol venne a sua volta indagato per violenza nei confronti dei due bambini, ma non fisica bensì «ideologica»: si temeva che i due orfani venissero indottrinati al comunismo. Ma non riuscirono a strapparglieli. Robert e Michael Rosenberg divennero Robert e Michael Meerpole e ancora oggi difendono la memoria dei genitori, del padre adottivo e di una canzone che ha saputo raccontare un secolo di ingiustizie e che non sembra essere mai stata così attuale come ora.