I candidati all’Oscar vengono resi noti ogni anno alle 5.27 di mattina per accomodare le dirette dei morning show sulla costa Est. Sin da ben prima dell’alba quindi la sala grande nell’austero edificio dell’Academy su Wilshire Boulevard ha cominciato a riempirsi di rappresentanti degli uffici stampa accorsi sperando di celebrare candidature dei propri assistiti, e centinaia di giornalisti e corrispondenti tv incipriati sotto i fari delle telecamere.

 

All’ora prestabilita sul palco della sala Samuel Goldwyn sono usciti Ang Lee e Guillermo del Toro per annunciare il primo gruppo di candidati. I due registi erano incaricati di annunciare le categorie minori ma già da queste un titolo ha cominciato a ricorrere con più frequenza. Alla fine della mattinata The Revenant il «north-western» di Alejandro Gonzalez Iñárritu aveva collezionato 12 candidature imponendosi come favorito di questa 88esima edizione degli Academy Awards. Lo seguono nella classifica delle nomination: Mad Max: Fury Road (10), Sopravvissuto -The Martian (8), Spotlight, Carl e Ponte delle Spie (6) e La Grande Scommessa (5).
È un quadro che conferma molteplici legittimi pretendenti ma allo stesso tempo indica un favorito nel film «estremo» di Iñárritu già vittorioso domenica scorsa ai Golden Globes. Le nomination confermano alcuni pronostici e mettono fine invece a molte supposizioni.

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Non c’è stato l’effetto Star Wars che alcuni prevedevano. Qualche settimana fa la Broadcast Film Critics Association, alla luce del fenomeno globale, aveva modificato retroattivamente la propria classifica per inserire il film di JJ Abrams uscito a fine anno senza proiezioni stampa. Ma il successo della Minaccia Fantasma non è bastato a impressionare gli elettori dell’Academy che pur avendo a disposizione dieci posizioni hanno nominato quest’anno solo otto film nella categoria principale; a Guerre Stellari sono andati una manciata di riconoscimenti «tecnici» e quello per le musiche di John Williams.

 

 

In quella categoria il compositore amatissimo a Hollywood – si contenderà l’Oscar con Ennio Morricone che stacca una nomination fresco di Golden Globe per Hateful Eight.
Williams, Jennifer Jason Leigh (attrice non protagonista) e la fotografia 70 mm. di Robert Richardson sono le uniche nomination nella Colonna di Tarantino: risultato deludente per il regista che pur beneficiando del poderoso ingranaggio promozionale Weinstein, sconta un diffuso astio nei suoi confronti e alcune polemiche con poteri forti: la polizia di New York e LA che lo aveva attaccato dopo la sua partecipazione a una protesta contro gli abusi violenti, e la Disney che gli aveva sottratto il Cinerama Dome imponendo la proiezione di Guerre Stellari al posto di Hateful Eight nella principale sala 70 mm. di Los Angeles.

 

 

La consacrazione di Revenant potrebbe significare invece, il primo, a lungo anelato, Oscar per Leonardo di Caprio. Uno che invece la prima statuetta non la vincerà nemmeno quest’anno è Ridley Scott, rimasto escluso proprio dalla categoria – quella dei registi – in cui molti lo davano addirittura per favorito.

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In rappresentanza dei registi «di genere» c’è invece George Miller. Dopo una gestazione ventennale e sei mesi di riprese nel deserto della Namibia le dieci nomination per il suo reboot di Mad Max sono un risultato abbastanza straordinario. Con lui e Iñárritu fra i registi ci sono Lenny Abrahamson il cui bel Room su una donna e suo figlio prigionieri di un maniaco ha una favorita anche nella protagonista Brie Larson, il rigoroso Tom McCarthy di Spotlight (presentato a Venezia) e Adam McKay, autore de La Grande Scommessa.

 

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Quest’ultimo è certo il candidato più politico dell’anno, un adattamento esplosivo di Big Short, il libro di Michael Lewis sulla mastodontica e impunita frode subprime di Wall Street – storia vera e parabola apocalittica sulla finanza assurta a filosofia e politica del nostro tempo. Le cinque candidature al film sono un premio importante per un regista situazionista e dissacrante, «immigrato clandestino» dalla commedia demenziale all’accademia di Hollywood.

 

 

Fra gli stranieri il franco-turco Mustang, il colombiano Abrazo de la Serpiente e l’ungherese Il figlio di Saul. È quest’ultima opera prima di László Nemes – un notevole, quasi insostenibile sguardo in soggettiva sulla Shoah – a presentarsi come film da battere nella categoria.

 

 

 

 

Meritata la nomination di Charlotte Rampling fra le attrici per 45, quella di Anomalisa, inquietante animazione stop motion di Charlie Kaufman che era stato fra i migliori film di Venezia. Ovazione per Sylvester Stallone candidato come non protagonista nei panni di un Rocky invecchiato e vulnerabile in Creed del giovane regista afro Americano Ryan Coogler che avrebbe meritato un pò più di attenzione.

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E a questo proposito segnaliamo la principale polemica che circonda queste nomination: fra le candidature annunciate dalla presidente dell’Academy Cheryl Boone Isaacs, lei stessa african American, non vi è nessun nero. Hollywood cioè, in un anno caratterizzato dalla rinascita di un movimento di protesta nero con black lives matter, di un film come Straight Out of Compton, che al di là del riconoscimento critico ha avuto uno straordinario successo commerciale, nell’anno di Samuel Jackson in Hateful Eight e di Coogler appunto, non è riuscita a riconoscere neanche un attore o un autore di colore. Chissà se il 28 febbraio ne parlerà durante la cerimonia Chris Rock, il comico black assunto di proposito come conduttore dello show.