Sempre elegantissima sul palco, la sassofonista Lakecia Benjamin – la vedremo il 10 novembre al Roma Jazz Festival – è fra le nuove stelle internazionali del funk/r&b/jazz. Nativa della grande mela, già poco più che bimba sostituisce alla fascinazione per l’hip hop quella per il jazz e i suoi mostri sacri come Miles Davis. Passione – tanta – e studio l’hanno portata a misurarsi con solisti del calibro di Clark Terry, Reggie Workman, Rashied Ali. Stile originale e forte determinazione, tanto che viene chiamata come arrangiatrice e leader della sezione fiati per Stevie Wonder, Macy Gray, Alicia Keys, Anita Baker e i The Roots. E ora – dopo Rise Up (2019) – interessante concentrato di funk jazz ispirato dalle tematiche sociali e in particolare i problemi della comunità afromericana, Lakecia alza l’asticella con la sua opera più ambiziosa. Pochi mesi fa ha infatti visto la luce Pursuance: The Coltranes dedicato all’arte geniale di John e Alice Coltrane, e realizzato con la collaborazione di Ron Carter, Gary Bartz, Dee Dee Bridegwater, Meshell Ndegecello, Marcus Strickland, Jazzmeia Horn, un lavoro sul quale è incentrato il suo live set.

Da dove nasce l’idea di un progetto dedicato a John e Alice Coltrane e con quale criterio è stato selezionato il materiale che lo compone?

È iniziato tutto due anni fa, era diverso tempo che ci pensavo ma poi tutto è fluito velocemente: in due giorni – il 22 e 23 agosto del 2019 abbiamo registrato tutti i pezzi che avevo scelto. Era la prima volta che le ascoltavo e immediatamente mi sono sentita in sintonia con loro.

Lei è giovanissima eppure ha un curriculum già ricco di collaborazioni: da dove è nata la passione per il jazz e soprattutto cosa l’ha spinta ad indirizzarsi nello studio del sassofono?

Ho scoperto il jazz quando ero poco più che adolescente, ma vorrei sottolineare che in realtà i due mondi non sono conseguenziali. Studiare il sassofono e la sua tecnica è completamente differente dal jazz: tu puoi essere un grande sassofonista ma non suonare jazz. Cionostante lo studio del sassofono e le tradizioni del jazz si combinano molto bene insieme.

Tornando al disco, quale eredità hanno lasciato i Coltranes? E non parlo solo dei jazzofili…

Credo che quel sound sia come una medicina che infonde forza e cambia atmosfera e emozioni. C’è poca gente sulla terra a cui non piace la musica, è la colonna sonora delle nostre vite. La ascoltiamo quando siamo felici ma anche quando siamo tristi.

Non è mai stata tentata di sperimentare altri stili?

A dire il vero quando ho iniziato ad appassionarmi al repertorio di Alice Coltrane non ascoltavo solo quella musica. Sono cresciuta con l’hip-hop e le playlist radiofoniche. Vivendo poi in una comunità latina ho anche suonato merengue, salsa, la bachata. Anche perché nella comunità afroamericana sei incoraggiato a suonare tutte le forme di black music.

Sin dalla sua fondazione nel 2013, Black Lives Matter ha significato una crescita esponenziale dell’orgoglio nero. Il mondo della musica è pieno di pregiudizi e spesso ha sfruttato gli artisti afroamericani: lei crede che qualcosa sia cambiato nello showbusiness nel corso degli ultimi anni o il processo di democratizzazione è ancora aldilà da venire?

No, nulla è cambiato. Prima che nascessi c’è stato un fenomeno propulsivo per i diritti civili, poi il black power movement. Io appoggio la causa di Black Lives Matter e confido in un mondo in cui i musicisti possano essere apprezzati indipendentemente dal colore della pelle. Ma per quanto posso vedere, il business della musica ha fatto passi da gigante dal 1960, ma non più sostanziali della società da allora…

La battaglia contro il Covid è ancora lontana da una vittoria, ma i vaccini ci permettono di guardare al futuro con più speranza. Come ha trascorso i mesi di lockdown in America?

Suonando, esercitandomi nella mia…arte, concentrandomi sulla mia salute fisica e mentale. Nella speranza che un giorno possiamo riunirci tutti, più forti e migliori di quando è iniziata la pandemia.