«Nel fronte del no ci sono parecchie persone che di politica ne capiscono. Possibile che non si rendano conto che se la riforma istituzionale non passa per la nostra economia è la fine?». Così ragionava in una chiacchierata privata, qualche giorno fa, un esponente del Pd che, pur non provenendo dall’infornata degli imberbi, fa parte dello stato maggiore renziano ai massimi livelli. Per una volta, non faceva propaganda.
Dal temuto esame della Commissione europea Renzi è uscito meglio di come non poteva: praticamente tutte le richieste di flessibilità italiana sono state accolte. È vero che non si tratta di un semaforo destinato a restare comunque verde per l’eternità. Dopo aver chiarito subito che, in cambio del regalone, i guardiani di Bruxelles si aspettano massima disciplina sui conti pubblici nel 2017 ieri hanno specificato che la nuova valutazione arriverà a novembre, «quando ulteriori informazioni sulla ripresa del cammino di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine per il 2017 saranno disponibili». Nell’impagabile burocratese della Commissione significa che vogliono vedere la Legge di Stabilità 2017, ed è una richiesta ovvia.
In conferenza stampa il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici ha giustificato la concessione: «Abbiamo avuto un impegno chiaro, scritto, che l’Italia non sforerà dal limite dell’1,8% nel rapporto deficit/Pil. Solo quando riceveremo la proposta di bilancio per il 2017 faremo una nuova analisi. Siamo molto attenti ma anche rassicurati da quanto ci ha garantito il ministro Padoan». Messa così, è come dire che l’Italia ha beneficiato della flessibilità in cambio di una “parola d’onore” del suo ministro per l’economia, il che, si ammetterà, non è proprio consono ai metodi sin qui seguiti dai tutori del rigore. Tanto più che anche quel limite rigido fissato per il 2017 è in realtà una prova di duttilità, o se si preferisce uno sconto secco. La previsione iniziale era infatti dell’1,1%. Averla portata all’1,8% significa rimpinguare i forzieri di Padoan con altri 12 miliardi oltre ai 14 ottenuti con la concessione della flessibilità per quest’anno.

In tutta evidenza, le scelte di Bruxelles sono state prese adoperando le regole duttili della politica e non quelle rigide della ragioneria economica. La Commissione ha confermato quelle che lo stesso Moscovici, nei giorni che oggi appaiono lontani della grande tensione, descriveva, in una lettera firmata in tandem con il collega commissario Dombrovskis, «concessioni senza precedenti». Né si può dire che ad addolcire la bocca ai commissari siano state l’obbedienza e la diligenza dello scolaro di Rignano nei maledetti «compiti a casa». L’abolizione della tassa sulla casa è stato uno schiaffone per i signori di Bruxelles, che erano ferreamente ostili, e il premier italiano non ha affatto rinunciato all’idea di un intervento sulle tasse, in tempo per incassarne i dividendi in termini di consenso alle prossime elezioni. La legge che la Commissione attende con la matita rossa pronta dovrà essere di una dozzina di miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e rientrare nei limiti concessi da Bruxelles, più un’altra decina per abbassare la pressione fiscale.
Qui entra in gioco il ragionamento sul referendum a cui alludeva l’ufficiale renziano di cui sopra. L’Europa ha allentato i cordoni del rigore per plauso non alla politica economica di Roma ma alle riforme realizzate o messe in cantiere: quella delle pensioni varata a suo tempo da Elsa Fornero, il Jobs Act con annessa sepoltura dell’articolo 18, di cui si rende già merito a Matteo Renzi, e soprattutto quella riduzione drastica della democrazia reale veicolata da una riforma costituzionale che era stata di fatto chiesta al governo italiano dall’Europa.
È circolato ampiamente il documento della J.P. Morgan del 2013 che più esplicito non poteva essere. Diceva chiaramente che le Costituzioni nate dalla sconfitta del fascismo, soprattutto nei «Paesi del sud», sono troppo influenzate dalla cultura socialista. È ora di abbatterle. L’Europa condivide quella filosofia. È così è pronta a perdonare qualche debolezza nei conti a chi può portare in dote lo scalpo di quelle Costituzioni.