Serviranno ulteriori esami per capire se la diciottenne Camilla Canepa sia morta a Genova a causa della vaccinazione AstraZeneca. L’esame della cartella clinica ha rivelato che la giovane soffriva di una malattia autoimmune che le abbassava il livello di piastrine nel sangue e assumeva una terapia ormonale. Sono elementi utili per gli investigatori, per valutare se la ragazza abbia ricevuto informazioni corrette prima del consenso alla vaccinazione.

In ogni caso, la sua vaccinazione con il vaccino inglese non rispondeva alle linee-guida emanate dalle autorità sanitarie nazionali. L’8 aprile, infatti, l’Agenzia Italiana del Farmaco aveva indicato come «preferenziale» l’uso del vaccino AstraZeneca nelle persone al di sopra dei 60 anni, dopo la scoperta dei primi casi di trombosi post-vaccinale. La formula è stata utilizzata in quanto il bilancio tra rischi e benefici non è sempre lo stesso: con una bassa incidenza, il rischio di Covid diminuisce e il pericolo di una rara trombosi può superare quello della malattia. «Preferenziale» significa dunque che, in mancanza di alternative e con un contagio abbastanza elevato, meglio vaccinarsi con AstraZeneca che non vaccinarsi. Ma le forniture dei vaccini Pfizer e Moderna sono state finora regolari e rappresentano il 75% dei vaccini consegnati finora. L’alternativa dunque c’era e le regioni avrebbero potuto seguire alla lettera le indicazioni dell’Aifa.

Non tutte le regioni si sono adeguate dopo l’8 aprile. Il Lazio, ad esempio, da allora ha usato il 52% delle dosi AstraZeneca in persone con meno di 60 anni di età, secondo le cifre diffuse dal governo. Fino a quella data, la percentuale era stata del 57%. In sostanza, l’indicazione Aifa non ha inciso granché sulle strategie della regione. Nella classifica dei «disobbedienti», il Lazio è seguito dalla Calabria, che ha somministrato il 44% delle dosi AstraZeneca in persone sotto i 60 anni, dalla provincia di Bolzano (31%) e dall’Abruzzo (29%). Quelle più scrupolose sono state l’Umbria, il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto, che hanno derogato alle indicazioni Aifa solo per l’1% (o meno) delle dosi AstraZeneca.

Il dato è confermato dall’uso dell’altro vaccino adenovirale, quello della Johnson&Johnson, per il quale dal 20 aprile valgono le stesse linee-guida Aifa di AstraZeneca. In questo caso, il mancato rispetto delle linee guida Aifa è ancora più palese. Nel Lazio, Johnson&Johnson è stato somministrato per l’85% negli under 60. Anche Calabria, Campania, Alto Adige e Sicilia sono oltre l’80%. Tra le regioni più attente ci sono ancora l’Umbria (0,2%), la Toscana (1%) e il Friuli-Venezia Giulia (4%), a dimostrazione che alcuni governatori hanno seguito alla lettera le linee-guida Aifa.

Ora molti governatori rivendicano la loro correttezza. «Dato che le indicazioni suggeriscono di non utilizzare AstraZeneca sotto una certa età noi non lo utilizziamo», ha detto il governatore lombardo Fontana. Eppure anche la sua regione ha usato il 10% delle dosi AstraZeneca e il 68% di quelle Johnson & Johnson negli under 60.

La Liguria guidata da Toti ha usato il 12% delle dosi AstraZeneca negli under 60. Dopo la morte della diciottenne associata a uno degli Open Day regionali, il presidente ha presentato il suo alibi, come ogni buon avvocato gli avrebbe consigliato. Si tratta del parere espresso dal Cts nella riunione del 12 maggio, in cui non erano rilevati «motivi ostativi a che vengano organizzate dalle differenti realtà regionali iniziative, quali i vaccination day, mirate a offrire, in seguito ad adesione/richiesta volontaria, i vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti di età superiore ai 18 anni».