L’accento inglese dell’aguzzino di James Foley, il giornalista indipendente, decapitato dai jihadisti dello Stato islamico (Is) in Iraq la scorsa settimana, è stato usato come pretesto dalle autorità inglesi. Ci ha pensato prima di tutti il sindaco di Londra. Boris Johnson ha assicurato che d’ora in poi ogni cittadino britannico che viaggia in Iraq o Siria sarà considerato un «terrorista» fino a prova contraria. «Chi continua a sostenere uno stato terrorista deve perdere la cittadinanza della Gran Bretagna», ha aggiunto. Johnson ha invocato anche una revisione delle norme per colpire i cittadini britannici che si uniscono ai jihadisti. Secondo il sindaco di Londra, in questi casi, la legge dovrebbe prevedere la revoca immediata dei passaporti britannici. Alla misura si è opposto il ministro dell’Interno, Theresa May, secondo cui una decisione del genere sarebbe illegale. Johnson ha chiesto anche il ritorno ai «control orders», ordinanze che obbligano i presunti terroristi a restare nelle loro abitazioni, da usare soprattutto per i militanti che tornano da Siria e Iraq.
Proprio ieri i servizi segreti britannici (MI5) hanno assicurato di essere vicini all’identificazione del jihadista incappucciato, che ha sfoggiato un accento dell’East End londinese, nel video, da molti inquirenti considerato un falso, dell’uccisione di Foley. Il giornalista statunitense sarebbe stato ucciso infatti a telecamere spente. Il primo tra i sospetti è Abdel-Majed Bary, 24 anni. Ma l’intelligence inglese tiene sotto occhio anche altri due giovani poveri, Abu Abdullah Al-Britani e Abu Hussain Al-Britani che avrebbero creato un gruppo musicale insieme a Bary (facendosi chiamare Lions o Beatles, secondo alcune ricostruzioni). Quest’ultimo è infatti un rapper, di origine egiziana, i cui video erano stati mandati in onda anche da Bbc radio. Suo padre è un rifugiato egiziano estradato dal Regno unito negli Usa con accuse di terrorismo e coinvolgimento negli attacchi alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania del 1998.
Tuttavia, tra le caratteristiche che più colpiscono degli identikit dei sospetti della feroce guerriglia dell’Is è che si tratta spesso di atei. In altre parole, nella loro militanza, i jihadisti di nuova generazione non sarebbero mossi tanto dagli scritti dei noti ideologi islamisti come Sayyd Qutb. Secondo alcuni report dell’MI5, molti tra i jihadisti radicali non sono religiosi praticanti e spesso sono a corto di conoscenze in materia di religione. Secondo gli studi commissionati dall’Intelligence inglese, i giovani britannici, affascinanti dal jihad, sono spinti al radicalismo da povertà e disoccupazione, dalla pressione dei loro pari, da insoddisfazione e oltraggio morale più che dalla religione. Nel documento, si fa riferimento al jihad, come un’occasione di impiego come un’altra che genera «rispetto ed elogi». E così l’immagine del jihadista devoto e barbuto lascia il campo al vero volto del disagio delle periferie inglesi, un misto di modernità e disinteresse per le pratiche religiose delle famiglie. Gli atei devoti, che forse mai hanno letto il Corano o pregato assiduamente in una moschea, gonfiano le fila dell’Is in Iraq e Siria. E così, se ateismo e apostasia sono pratiche continuamente negate, stigmatizzate e punite in Medio oriente, il pericolo di un movimento jihadista, tra i più violenti e ben organizzati della galassia dell’estremismo radicale islamista, sembra venire dal disagio sociale delle periferie europee, così come dalla povertà locale delle città in cui l’Is si è affermato, più che dall’affiliazione ad un’ideologia religiosa o dall’affabulazione per gli insegnamenti dell’Islam.