Ci siamo chiesti alcune settimane fa che cosa potevamo fare quando abbiamo capito che l’emergenza Covid 19 non sarebbe stata una fase passeggera della nostra vita ma ci avrebbe coinvolto e impegnati per mesi e ad oggi non sappiamo quanti. Abbiamo visto crescere il numero delle persone colpite prima lontano e poi vicino a noi, numeri che come una onda irrefrenabile hanno cominciato ad investirci senza discrimine.

LO STARE A CASA, lavorare in casa è un privilegio che molti non si possono permettere, gli operatori ospedalieri in primis poiché devono stare al lavoro il doppio del tempo, esposti con il corpo e la mente all’infezione di questo virus ancora sconosciuto.
L’idea di un progetto a disposizione del personale sanitario della città di Bologna è nata negli uffici dei Servizi di supporto alla persona del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, insieme alla Fondazione Sant’Orsola.

ABBIAMO CHIAMATO GLI AGRICOLTORI, allevatori e artigiani del cibo del nostro Appennino quasi tutti biologici per poter offrire produzioni fresche e sane attraverso una piattaforma web dedicata. All’interno del complesso ospedaliero, in uno spazio trasformato in magazzino operativo con area refrigerata, si preparano «le spese» che gli operatori sanitari si portano via a fine lavoro.

Una rete formidabile di collaborazioni: una agenzia, Life di Bologna, ha messo a disposizione un intero settore operativo per costruire in pochi giorni un e-commerce dedicato, la cooperativa Cloe di Modena esperienza ed attrezzature, Zanarini ha messo a disposizione una cella frigorifera, la fondazione Rusconi di Bologna servizi di pulizia, la fondazione Sant’Orsola tutto il possibile in un momento congestionato come quello attuale, gli agricoltori allevatori vinaioli e fornai lavoro ed entusiasmo sempre.

NELLA TERRIBILE EMERGENZA IN CUI siamo coinvolti con tutte le limitazioni conseguenti, l’azione che stiamo attivando rappresenta almeno due elementi innovativi: il primo è che i dipendenti ospedalieri possono ritirare la propria spesa prima di andare a casa con un considerevole risparmio in termini logistici, di trasporto, relativi costi energetici e CO2 .

Il secondo è che focalizzandosi sempre più su un segmento particolare di fruitori, quello che per esempio lavora in un determinato luogo o condivide la stessa professione, è possibile rivolgere proposte più mirate alle loro specifiche esigenze avviando una interlocuzione che infine riduce orpelli e sprechi.

Per noi questo ha significato iniziare ad affrontare concretamente le gravi conseguenze di questa pandemia, oggi solo in parte visibili verso un universo sociale ed economico che non solo non si ripresenterà uguale a prima ma che ne è stato in grande misura la causa.

FRA QUESTE CI MISUREREMO con un deserto economico che in primis, come sempre, colpirà i più deboli ma poi quasi tutti noi e che svilupperà una corsa alla concentrazione della produzione e della distribuzione di beni in qualunque campo e settore, a partire da quello manifatturiero e agroalimentare, quest’ultimo con effetti ancora più devastanti. I monopoli ai quali stiamo assistendo negli ultimi decenni rischiano di divenire sempre più dominanti in una fase di sospensione delle regole per via delle condizioni di necessità come si verranno a determinare nel prossimo futuro.

E se questo processo è generalmente negativo sotto il profilo ancora della estrazione di risorse naturali ed umane da terre e territori verso profitti lontano dagli stessi, diviene terribile quando applicato all’agricoltura, agli allevamenti, al cibo, all’ecosistema che questi tre elementi insieme costituiscono per la base della vita dell’uomo su questo pianeta.

E’ davvero tempo di rimettere in discussione il latifondismo di nuova generazione che svuota la terra di persone e vita, delle sempre più esasperate rincorse alla produttività di carne e latte, delle economie di scala che la trasformazione industrializzata del cibo impone per costare poco.

GUIDO DOTTI, MONACO DELLA COMUNITA’ di Bose afferma che non siamo in guerra, siamo in cura. Noi e il pianeta.

E la cura si nutre di tenerezza verso l’altro. E’ certo che il cibo sia cura, nonostante quello che una recente manipolazione culturale ed artificiale abbiano combinato in

questi ultimi decenni. E se il cibo è vita, tutto ciò che lo circonda e costituisce riguarda un bene che non appartiene a qualche multinazionale o emulo nostrano che sia, non appartiene a qualche corporazione di agrochimici, a monopoli sempre dietro l’angolo e nemmeno agli agricoltori: il cibo appartiene a tutti poiché agricoltura ambiente e promozione del vivente sono la stessa cosa.

E STIAMO PARLANDO DI ECONOMIA VERA!

Se dobbiamo (e dovremo) ricostruire, riparare e ricostituire è bene farlo con una nuova capacità progettuale, un nuovo design organizzativo e associativo capace di integrare essere umani, ecosistemi naturali e le nuove tecnologie in una dimensione che punti ai territori e li difenda.

Il gigantismo d’impresa proprio del ‘900, (il mantra del perseguire una dimensione sempre maggiore) ha solo parzialmente arricchito il pianeta, distruggendo molte delle sue risorse e producendo disparità ovunque.

DIFENDERE I TERRITORI OGGI, significa non «barrierarvisi» dentro ma sviluppare una cultura d’impresa aperta che vada oltre i settori merceologici, le rappresentatività attuali, le divisioni corporative di secolare impostazione fino a includere in modo molto più pro-attivo la funzione amministrativa.

Vi è bisogno di un nuovo pensiero comune per una azione comune che metta da parte le differenze se l’obiettivo è la protezione dei territori e delle loro economie, delle persone in quanto tali prima che di mercati lontani, dell’ambiente da rafforzare e del civismo al quale non intendiamo rinunciare.

IL CIBO PUO’ TORNARE AD ESSERE protagonista e compartecipare non a strategie emergenziali che cancellino storia e caratteri distintivi ma attivamente in tutte le sue economie, dalla produzione agro-ecologica alla trasformazione su piccola scala, alla ristorazione fino alla distribuzione che dovrebbe diventare partecipazione.
Non di filiere corte abbiamo bisogno ma di imprese vicine e affettive, di cultura e conoscenza imprenditoriale diffuse. Abbiamo bisogno di know how, di una visione veramente agroecologica ed agroforestale, che includa anche i processi industriali innovativi per qualità nutrizionale ed accessibilità. Per creare e non solo estrarre valore dalle specificità territoriali.

TUTTO QUESTO OGGI E’ RESO POSSIBILE per tecnologia e controllo anche nella piccola scala purché in rete e con visione ampia a aperta. Se vi è un aspetto positivo di questa terribile esperienza che stiamo vivendo è che tanti produttori e ristoratori e artigiani si stanno sempre più rivolgendo alle persone che non a mercati: questo approccio rimarrà e sarà cura e vicinanza.

In tutto questo vi è un nuovo ruolo delle amministrazioni e della politica a partire da quella radicata sui territori. Devono divenire sostegno e appoggio fondamentale, parte integrante, promotore più che regolatore di progetti che devono sì prevedere grandi opere ma non concentrate in poche super costose realizzazioni lontane, bensì diffuse sui territori.

Ricostituendone economie integrate che siano ecologie.

Questo cambio è necessario, se vogliamo che anche i benefici economici, ambientali e sociali siano diffusi parimenti.

Non c’è dubbio, questo è il momento di passare dalle filiere alla filìa. All’aver cura, diventare amici, coltivare passione.

* Presidente di Goodland