Dopo il referendum sull’autonomia della Lombardia e del Veneto, nei punti che i governatori Maroni e Zaia tratteranno con Gentiloni c’è anche lo sport, terreno che ha permesso alla Lega Nord fin dalla prima ora di amplificare le parole d’ordine sul secessionismo, l’indipendentismo e l’autonomia. Ci saranno nel nord Italia campionati di calcio autonomi? Si costituirà una nazionale della Padania? Con uno sguardo rivolto alla Catalogna e al Barcellona, ne parliamo con lo storico Sergio Giuntini, che incontriamo a Milano in occasione della presentazione del suo pregevole libro L’agonismo della Padania. Sport e Lega Nord (sedizioni, euro 30).

Perché un libro su sport e Lega Nord?

In passato mi ero occupato di sport e regionalismi. Lo sport è sempre stato un potente mezzo materiale e immaginario utilizzato dai regionalismi europei, dalle autentiche Regioni-Stato o regioni-Nazioni, per rappresentare le loro radici identitarie e le loro istanze politiche declinate in autonomismo, secessionismo, indipendentismo. Basti riflettere su ciò che sono state e sono le squadre di calcio quali il Barcellona o l’Athletic Bilbao per la Catalogna e i paesi baschi, ma anche per gli sport gaelici rispetto all’Irlanda. In Italia questo fenomeno aveva avuto un solo precedente significativo con la nascita, dopo la liberazione Alleata della Sicilia e le spinte separatiste che allora attraversarono l’Isola, della “Federazione Siciliana degli Sports”. Un’esperienza chiusa nell’immediato secondo dopoguerra con la fine delle spinte separatiste, riassorbite dall’egemonia democristiana. La novità, nell’Italia tra prima e seconda Repubblica, è stata costituita dalla Lega Lombarda poi Lega Nord: movimenti che nello sport, sin da subito, hanno creduto molto.

Perché Bossi individua lo sport come terreno privilegiato per le parole d’ordine della Lega?

Bossi intuì che il termine Padania, comunque astratto e prevalentemente immaginifico, andava riempito. Era necessaria una invenzione della tradizione per “fare i padani”, occorreva dargli un’identità, delle radici più facilmente riconoscibili. La territorialità, il localismo, il populismo, l’antimeridionalismo su cui  si basava il primo leghismo bossiano, potevano trovare nello sport, profondamente impregnato di tutti questi valori, un efficace strumento di diffusione del messaggio leghista. Molti gruppi “ultrà” del Nord, tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, presero infatti ad esporre con orgoglio simboli e a rilanciare slogan leghisti dalle loro curve. Furono loro, le prime casse di risonanza che diedero una visibilità pubblica più diffusa al rivendicazionismo leghista.

Quali sono state le “categorie” privilegiate dallo sport leghista?

Lo sport presenta diversi elementi tipici dell’ideologia leghista. Per sua natura intrinseca genera identità e partecipazione, le due maggiori risorse attorno a cui il leghismo ha sempre mobilitato il proprio zoccolo duro elettorale. Lo sport, al pari della politica “ultrà” inventata da Bossi, si alimenta di accesi campanilismi come il derby permanente giocato dalla prima Lega Nord col suo radicalismo anti: Nord-Sud, locale-centrale, Milano-Roma. Una semplificazione, quest’ultima, del concetto amico-nemico di Carl Schmitt, maestro di Gianfranco Miglio, ideologo della Lega. Lo sport ruota in gran parte attorno alle categorie di agonismo-virilità-rito, tre componenti della più tipica antropologia leghista, si pensi al prorompente uso “politico” del corpo fatto dal Bossi della prima ora. Lo sport si alimenta bulimicamente di simbolismi e miti, una componente che rinveniamo nel grande sforzo della Lega di simbolizzazione del territorio come la divinizzazione del Po con il rito dell’ampolla e i fumosi richiami all’antichità celtica: la Lega, il 27 settembre 1997, a Cantù, organizzò persino un campionato nazionale padano di antichi “Giochi celtici”.

La Lega al potere ha scalfito il granitico Coni associato a “Roma ladrona” o ha fatto solo propaganda?

Per il pensiero leghista il Coni, struttura piramidale e burocratica con sede a Roma, ha lungamente rappresentato un simulacro dello sport centralista e statalista. Il suo governo e la sua gestione, agli occhi dei leghisti, riproducevano nello sport le medesime pratiche del sistema politico, clientelare e lottizzato, dei vecchi partiti. Per loro era né più né meno che un pezzo di “Roma Ladrona”. Da qui la contestazione durissima attuata contro Mario Pescante, presidente “patriottardo” del Coni, e l’incontenibile soddisfazione espressa sul giornale la Padania, che allo sport dedicava ogni giorno diverse pagine, ogni volta che una candidatura di Roma alle Olimpiadi veniva bocciata o ritirata. Tuttavia, come è ben noto, la Lega ha saputo recitare con disinvoltura il ruolo di partito di “lotta e di governo” e, quando si è trovata a governare con Berlusconi, ha immediatamente inserito un suo uomo di fiducia in “Coni Servizi”: il vero scrigno del Coni. E ancora, non ha rinunciato a contrattare con Roma un proprio ente di promozione sportiva: “SportPadania” che, nato dal fallimento dell’effimero Comitato Padano Olimpico (1997), è stato  riconosciuto ufficialmente dal Coni per la sola Lombardia il 10 novembre 2004 con relativi finanziamenti dell’ente olimpico.

La Lega utilizzò Gianni Brera per il suo antimeridionalismo. Brera era leghista?

La Lega, finché il potere si è totalmente concentrato nella figura di Umberto Bossi, è andata disperatamente alla ricerca di padri nobili con cui abbellire le proprie origini. In questa ricerca, fin da subito, un nume tutelare è stato identificato in Gianni Brera, sovente “tirato per la giacchetta”, Salvini ha sostenuto con convinzione che sia stato lui a creare e a regalargli il termine “Padania” e talora ne hanno manipolato il pensiero banalizzandolo. Tuttavia, va anche aggiunto che l’elaborazione breriana per certi versi si prestava obiettivamente a questi usi e consumi leghisti. Il suo ricorso eccessivo, nel parlare di sport e non solo, all’antropologia e all’etnologia, ha finito col costituirne un grave limite. Maneggiava queste due scienze umane con scarsa cautela, e il costante rivendicare con spirito fazioso la sua celebrata “padanità” si traduceva di fatto in aperto antimeridionalismo. Brera riduceva la “Questione meridionale” a ragioni pseudo-scientifiche e morali, che tendevano a spiegare gli squilibri tra Nord e Sud con fattori d’inferiorità antropologica, etnica e finanche razziale. Ecco perché la Lega se ne è appropriata prontamente. Non credo invece che egli fosse autenticamente leghista. A riprova in tre sfortunate occasioni fu candidato al parlamento dal Partito socialista e dai radicali. Dunque, antimeridionalista sì, leghista no.

Che cosa è cambiato rispetto allo sport tra la Lega di Bossi e quella di Salvini?

Salvini ha virato decisamente a destra, si è riscoperto lepenista-nazionalista,  archiviando in un silenzio assordante  la “Padania” e, con essa, l’idea di Bossi di un partito identitario, regionalista, strettamente nordista. Un partito che, nella costruzione di questo progetto ancorato alla territorialità, non poteva fare a meno dello sport. Gli ultimi segnali di vita dello “sport padano” sono stati il contestatissimo “Giro ciclistico della Padania” e la nazionale di calcio della Padania con a capo il figlio di Bossi, due creature volute da Bossi. Anche dopo il successo del referendum del 22 ottobre 2017 Maroni, Zaia e Salvini non si sogneranno mai di organizzare campionati sportivi autonomi per Lombardia e Veneto.

Con lo sguardo alla Catalogna e alle dichiarazioni di famosi calciatori del Barcellona e di Guardiola, in futuro il rapporto tra sport e movimenti indipendentisti si consoliderà sempre più?

Resterà sempre sullo sfondo, ma credo che il business prevarrà su tutto il resto.   Per gli investitori e i diritti televisivi che interesse potrebbe avere un campionato di calcio solo catalano o basco? E, al contrario, che danno potrebbe arrecare a un Barcellona “indipendentista” non giocare più il “clasico” contro il Real Madrid?