Joe Biden certo non è un uomo fortunato: è entrato in carica 13 mesi fa nel mezzo di una pandemia di dimensioni storiche, sciaguratamente politicizzata dall’ex presidente Trump e dai suoi alleati, con un costo umano elevatissimo. Ha fatto quello che poteva ma il bilancio delle sofferenze del popolo americano sta tutto in due numeri: 78 milioni di persone contagiate, quasi un milione di morti.
Ancor meno è stato fortunato con l’Afghanistan, una guerra che avevano iniziato i repubblicani, proseguita contro ogni logica da Barack Obama per ben otto anni, avviata alla fine da un negoziato condotto dall’amministrazione Trump che, di fatto, costituiva una resa senza condizioni. Quando Biden ha fatto ciò che era implicito negli accordi di Doha, e cioè annunciare il ritiro delle forze americane, il caos che ne è seguito ha fortemente indebolito la sua immagine.

Il karma negativo della sua amministrazione è proseguito con la fiammata inflazionistica, prevedibile dopo anni di denaro facile e di inciampi nel settore della logistica iniziati con il blocco del canale di Suez, undici mesi fa. L’ultimo dato è stato un aumento dei prezzi al consumo del 7,5%, il record degli ultimi 40 anni. Non c’è quindi nulla di cui stupirsi se la percentuale di americani che approva l’operato di Biden è appena il 42%, grosso modo quanto la media dei quattro anni di Trump, uno dei presidenti più impopolari dai tempi di Jimmy Carter, negli anni Settanta.

A tutto questo si è ora aggiunta l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, un’aggressione che gli Stati uniti non hanno né i mezzi né la volontà politica di contrastare sul serio. Non hanno i mezzi perché ovviamente nessuno può rischiare una guerra nucleare con la Russia, né si possono inviare i marine nel cortile di casa dell’ex Unione Sovietica. L’annuncio della partenza di 7.000 soldati americani per la Germania è quindi risibile tanto quanto la retorica sulle «sanzioni durissime» che Biden ha annunciato in televisione giovedì sera.

La sorte dell’Ucraina è segnata: basta guardare una carta geografica per capire che l’operazione su larga scala iniziata questa settimana non si fermerà prima di arrivare al palazzo presidenziale di Kiev, anche perché l’aumento vertiginoso del prezzo del gas e del petrolio in questi giorni ingrassa prima di tutto il bilancio del Cremlino. Con il barile a 100 dollari invece che a 50 la Russia raddoppia i suoi introiti in valuta estera e non saranno i paesi dellOpec a protestare per questa manna finanziaria che avvantaggia anche loro. In teoria, la Russia potrebbe essere strangolata isolandola dal commercio mondiale attraverso la sua espulsione dal sistema bancario Swift ma quest’ipotesi è assolutamente remota: la Germania per prima non è disponibile a un passo del genere, avendo bisogno del gas russo.

Biden dovrà quindi convivere con un Putin baldanzoso e con una impopolarità all’interno che continuerà ad aumentare: il prezzo della benzina va verso i 4 dollari al gallone, soglia psicologica storicamente insostenibile per i presidenti americani (ieri il prezzo del diesel era a $ 3,98). In Europa sarebbe ancora poco ma negli Stati uniti scatena il panico sociale. Questo non è di buon auspicio per le elezioni del Congresso in novembre, quando i democratici con ogni probabilità perderanno la maggioranza di Camera e Senato, paralizzando la Casa bianca nella seconda metà del mandato di Biden.

La presidenza Joe Biden comincia ad assomigliare sempre più a quella di Lyndon Johnson fra il 1964 e il 1968: un presidenze onesto, con grandi ambizioni riformatrici, ma impossibilitato a svincolarsi dalla tenaglia guerra-inflazione. Nel caso di Johnson si trattava ovviamente del Vietnam, assai più sanguinoso e impopolare del confronto attuale con Russia e Cina. A differenza di Johnson, però, Biden deve fare i conti con un Congresso che non controlla: alla Camera ha una maggioranza risicata e al Senato neppure quella perché due dei senatori democratici necessari per far approvare qualsiasi progetto sono refrattari alla disciplina di partito.
Del resto la debolezza di Biden si vede chiaramente anche nell’atteggiamento del Dipartimento di Giustizia nei confronti di Trump: l’ex presidente potrebbe essere trascinato in tribunale per dozzine di reati, compreso l’alto tradimento ma l’Attorney general Merrick Garland non osa, per timore di contraccolpi politici. Joe Biden resterà in carica ancora quasi tre anni, che si annunciano però assai tristi per lui e per i progressisti americani.