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L’agire “fuori” e la lezione tragica

verità nascoste

Verità nascoste L’agire che ha come suo unico scopo di scaricare una tensione emotiva diventata ingestibile, produce un senso che solo un osservatore esterno può cogliere

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

Nella cerimonia di assegnazione degli Oscar l’Ucraina e la guerra sono state appena menzionate. La nostra vita va avanti con difficoltà, ma lo spettacolo non deve essere disturbato. Deve scorrere senza intoppi, creare l’impressione di movimento in un presente dilatato, sempre più senza passato e senza futuro.

Ciò che era stato accompagnato alla porta, il rumore imbarazzante di una guerra senza senso, nonostante le sue molteplici spiegazioni, è tornato dalla finestra.

Nel corso della cerimonia, l’attore Wilbur Smith, che di lì a poco sarebbe stato premiato, è salito sul palco e ha schiaffeggiato un comico reo di aver fatto una battuta irrispettosa su sua moglie. Un fatto inaudito sul quale è andata tutta l’attenzione e sul quale tutti si sono sbizzarriti con le loro interpretazioni, a partire da Smith stesso. Sia nel caso dell’aggressione all’Ucraina sia nel caso dello schiaffo al comico (e alla cerimonia) le interpretazioni date saranno anche verosimili e qualcuna avrà pure colto qualcosa di vero, ma resta il fatto che nel loro nucleo gli atti compiuti sono privi di una motivazione sensata.

In psicoanalisi si parla di “acting out”: agire fuori, agire al posto di sentire e di pensare. L’agire “fuori” deriva dall’impossibilità di ascoltare, pensare il “dentro”: di significare, dare senso ai propri sentimenti, facendoli sedimentare per rendere accessibile la loro elaborazione. L’impossibilità nasce dall’invischiamento delle proprie emozioni, dal loro accumularsi disordinato.

Qualcosa è andato storto nelle relazioni di scambio e il mondo psichico si è ingolfato (in modo temporaneo o permanente). L’agire che ha come suo unico scopo di scaricare una tensione emotiva diventata ingestibile, produce un senso che solo un osservatore esterno può cogliere. Questo senso non ha a che fare con l’azione, ma con dei sentimenti che hanno perso la relazione con il loro oggetto e girano a vuoto.

L’osservatore esterno a cui l’azione impulsiva, dall’alto potenziale distruttivo (per sé e per l’altro), non è indifferente (perché è capace di compassione per il dramma umano, di terrore di fronte alla distruzione e di desiderio che la vita vinca sulla morte), può cogliere, a partire da ciò che gli accade dentro, il sentimento represso la cui mancata espressione porta al precipizio.
Sullo sguardo di un osservatore che non può restare neutrale, impassibile di fronte a un gesto catastrofico che prende forma davanti ai suoi occhi, è centrato il dispositivo tragico. La tragedia ricorda allo spettatore, l’essere umano di fronte alle scene delle proprie catastrofi, che dentro di sé e nel suo rapporto con il mondo un equilibrio è sempre sul punto di rompersi (in modo ben più grave di quanto non sia già accaduto).

Per noncuranza nei confronti delle proprie relazioni e dei propri sentimenti che rendono queste relazioni vive e significative. L’agire senza sentire ha mille pretesti, ma il suo vero senso per chi ne è testimone coinvolto è il percepirsi orfano, su un piano o su un altro, di una cosa irrinunciabile: lo scambio paritario con gli altri. Bisogna difenderlo. Altrimenti le catastrofi si susseguono.

Come Jean Luc Nancy ha scritto con chiarezza, a nulla serve dare la caccia ai colpevoli: “ci diventa sempre più chiaro che non ci si può accontentare di indicare dei colpevoli della storia (qui una religione, là una politica, altrove un popolo o un individuo, un’ideologia, una tecnica); è una storia intera che è colpevole di se stessa, che dunque è al di là di ogni colpevolezza assegnabile; è tutta la storia dell’Occidente, e attraverso questo del mondo, che si rivela a se stessa come una tragedia o come una successione di tragedie dopo ognuna delle quali finisce col non esserci più un “dopo” poiché il ritorno di un’altra tragedia è sicuro e il dopo si volge in prima” (Eredità della Tragedia a cura di A.Giannakoulas, S.Thanopulos). Non costruiamo la nostra vita nei Tribunali della Storia.

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