La protesta simbolo della clamorosa retromarcia verso il carbone di Tokyo, si svolge a Kobe. Lì una centrale a carbone, già ampia, dovrebbe essere raddoppiata. Si tratta di una delle 30 centrali a carbone che il Giappone ha messo in pista dopo lo stop al nucleare successivo al disastro di Fukushima.

LA BATTAGLIA DEI RESIDENTI è già iniziata, ma il governo non sembra avere intenzione di deviare il suo percorso. Come ha spiegato all’Asia Nikkei Review – che al «problema energetico» giapponese ha di recente dedicato copertina e un ampio speciale – Takeshi Shimamura, professore all’Università di Kobe, «il carbone va direttamente contro la tendenza globale perché è il combustibile peggiore». Il Giappone è l’unico paese del G-7 «che sta ancora progettando nuove centrali elettriche a carbone». Ma quella giapponese non è solo una rinnovata passione per il carbone di natura «interna»: «Attraverso le sue banche e le agenzie internazionali di sviluppo, il Giappone sta finanziando un’ondata di enormi centrali a carbone dal Vietnam all’Indonesia.

LA BANCA GIAPPONESE per la cooperazione internazionale negli ultimi tre anni ha annunciato piani per fornire fino a 5,2 miliardi di dollari di finanziamenti per sei progetti relativi al carbone. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, l’Asia rappresenta due terzi della crescita globale dell’1,4% delle emissioni di Co2 legate all’energia nel 2017, proprio «a causa dell’aumento della domanda di combustibili fossili». Ma il problema non è certo solo il Giappone, benché rappresenti un importante banco di prova delle scelte energetiche.

LA PAROLA CINA dice qualcosa? Ma non solo perché l’Asia – due terzi della popolazione mondiale – rappresenta oggi i tre quarti del consumo globale di carbone . Ancora più importante, come riporta di recente il New York Times, «rappresenta più di tre quarti delle centrali a carbone che sono in costruzione o in fase di progettazione». Secondo gli ambientalisti l’agguato principale agli accordi di Parigi arriva proprio dall’Asia.

INDONESIA, VIETNAM e il grande colosso, la Cina: Pechino consuma metà del carbone mondiale. Più di 4,3 milioni di cinesi sono impiegati nelle miniere di carbone del paese. Secondo un’analisi di Coal Swarm (un gruppo di ricercatori Usa, quindi non proprio super partes, ma che sostiene alternative energetiche al carbone) i nuovi impianti a carbone, in realtà e alla faccia degli accordi di Parigi, continuano a essere costruiti, «e altri progetti proposti sono stati semplicemente ritardati piuttosto che fermati». In più dire Cina significa dire nuova via della seta. I nuovi mercati sono noti, dal Kenya al Pakistan: le aziende cinesi stanno costruendo centrali a carbone in almeno 17 paesi stranieri.