Sul punto ho una opinione precisa e un po’ radicale: penso che l’Antimafia sia strumento inadatto a operare un vaglio delle liste. È organo politico e, come tale, inidoneo ad assicurare imparzialità e, nei cruciali passaggi procedurali e ricognitivi, quella misura di riservatezza che essa comporta. Le divisioni e le polemiche erano prevedibili. Non a caso non vi sono precedenti di un vaglio delle liste a monte delle elezioni. Un vaglio semmai compete alla legge che stabilisce i casi di incandidabilità e ineleggibilità formale.

Vi è poi, distinta, l’autonoma responsabilità dei partiti che dovrebbero essi stessi, se credono, adottare parametri più severi di quelli fissati dalla legge. Saranno infine gli elettori a sanzionare, nel caso, chi non ottemperasse a criteri di pulizia e moralità politica. Del resto, significativamente, nel linguaggio giornalistico si è fatto ricorso alla nozione oscura e scivolosa di “impresentabili”.

Tuttavia, partiti e gruppi parlamentari hanno deciso diversamente: sia nella legge istitutiva della bicamerale, sia nel varo, all’unanimità, di un codice di autoregolamentazione che contemplava una precisa, puntuale casistica. Relativa alla posizione processuale dei soggetti e a definite fattispecie di reato. Specie i cosiddetti reati-spia, ove cioè la criminalità organizzata può interagire la “politica sporca”. Partiti e gruppi, dunque, si sono solennemente impegnati a rispettare quel codice. Se esso si è rivelato discutibile, essi devono prendersela con se stessi. Non con chi doverosamente lo ha poi applicato.

L’operazione-screening era oggettivamente lunga e impegnativa. Ne ha risentito la tempistica. Di sicuro la circostanza della diffusione della lista a quarantotto ore dal voto ha rappresentato un problema, perché non ha dato modo a persone e partiti di fare le loro eventuali controdeduzioni. Ci è stato spiegato, tuttavia, che ci si è posti il problema di rinunciare a diramare la lista prima del voto e che la Commissione tutta avrebbe deciso di procedere per onorare l’impegno assunto.

È stato invece strumentale e sconcertante il can can polemico che si è fatto sulla immissione di De Luca nella lista: nessuno ha potuto eccepire sulla circostanza che il suo caso, forse esiguo quanto al merito, tuttavia rientrasse a pieno nella casistica contemplata (un vecchio processo per concussione). Che si pretendeva?

Una sua esclusione ad personam o ad partitum? Essa sì avrebbe rappresentato una violazione dei doveri istituzionali della Bicamerale e della sua presidente.

Davvero sconcertante e censurabile l’aggressione dei vertici del Pd alla Bindi, accusata addirittura di agire per vendetta personale e politica. È stata la ricerca di un capro espiatorio, un greve diversivo a copertura delle proprie responsabilità. Toccava semmai al Pd rispondere politicamente di un candidato che chiarissimamente non doveva essere candidato, perché destinato alla sospensione, a norma della legge Severino, voluta e votata dal Pd. Con un danno conseguente per la governabilità della regione Campania. Questo sì un grave vulnus al senso delle istituzioni!

Per tacere delle liste a suo sostegno. Del resto, è cosa nota che il Pd non ha avuto l’autorevolezza e la forza di costringere De Luca a un passo indietro, sin dalle primarie, rinviate ben quattro volte a questo fine. Ma vanamente. Un Pd debole con i forti e forte con i deboli.

A dispetto di un fuorviante titolo che sembrava colpevolizzare la Bindi, su Repubblica di ieri, Raffaele Cantone – a capo di un’autorità dallo statuto incerto, che sempre più confina con la politica – ha mosso qualche rilievo sui criteri adottati dall’Antimafia. Rilievo che però si indirizza ai gruppi (tutti) che hanno votato quel Codice, non a chi solo e doverosamente lo ha applicato.

Alla luce di questa vicenda, è difficile sottrarsi all’impressione che un po’ tutti i partiti brillino per ipocrisia: sotto la pressione del pubblico discredito, sottoscrivono regole che, all’atto pratico, si rifiutano di applicare, cercando pretesti, alibi, sofismi. E levano alte grida per occultare il proprio stomaco forte e la propria politica debole. In particolare, con disappunto, abbiamo sentito risuonare a sinistra due argomenti genuinamente berlusconiani: le regole non si applicano agli amici e il voto popolare (primarie comprese) è un lavacro che risparmierebbe il rispetto delle regole.