Più che cambiamento, correzione. Non è nel contratto di governo, ma è già il primo dossier dell’esecutivo Conte, certamente il più corposo: aggiornare la versione dei fatti. Quello che il presidente del Consiglio mercoledì ha fatto in aula alla camera – prima l’allusione ai conflitti di interessi del Pd, poi la marcia indietro «sono stato frainteso» – ieri ha dovuto farlo al telefono con il presidente dell’Autorità anticorruzione Cantone.

«Non abbiamo dall’Anac quei risultati che ci attendevamo» ha detto Conte in un passaggio della sua replica, funestata dalla sparizione degli appunti sul tavolo del governo e assai improvvisata – anche il fuori onda circolato ieri in cui Di Maio dice a Conte un secco no va collocato nella disperata caccia agli appunti. Cantone non ha preso bene quel passaggio, già mercoledì ha soffiato alle agenzie tutto il suo stupore con una punta di veleno: «E’ possibile che non conosca tutto quello che fa l’Anac». Ieri poi Cantone ha spiegato ai giornalisti di essere «tranquillissimo» anche perché «il mio mandato scade nel 2020». Allusione a una possibile resistenza nell’incarico al momento di pura fantasia: i 5 Stelle non hanno né interesse né convenienza a mettersi contro il capo dell’Anticorruzione.

E infatti il ministro delle infrastrutture Toninelli ieri lo ha ricevuto e ha prontamente emesso un comunicato in cui spiega che c’è sintonia: il problema è il nuovo codice degli appalti (che nel comunicato è erroneamente chiamato «codice dei contratti») che «va migliorato per far ripartire tante opere pubbliche oggi bloccate». E subito dopo Cantone ha ricevuto la telefonata di Conte. Che ha evocato un altro misunderstanding: «Le mie parole sono state male interpretate», ha detto. Una nota di palazzo Chigi informa che il colloquio è stato «cordiale» e che Conte e Cantone «hanno convenuto sulla necessità di rafforzare la lotta alla corruzione operando una semplificazione del quadro normativo vigente», cioè il codice degli appalti.

Cantone ricorda che il codice deve ancora essere attuato pienamente e che l’esperienza potrà suggerire correttivi, senza stravolgimenti. Del resto i 5 Stelle, quando un anno fa il governo Gentiloni ha approvato definitivamente l’ultima versione del codice, non erano tanto preoccupati dal blocco degli appalti, quanto dal fatto che il Pd stesse manovrando per fare fuori Cantone e far fallire l’inchiesta su Consip. Il magistrato più ascoltato dai grillini, Piercamillo Davigo, sostiene da tempo che la corruzione non si batte con i codici «che servono solo a far perdere tempo agli onesti» ma con l’agente provocatore. Strumento che invece Cantone respinge, anche perché bocciato dalla Corte di giustizia europea.

È soprattutto su questo il dissidio dei grillini con Cantone – che recentemente li ha definiti «i miei primi datori di lavoro vista la mole di esposti che presentano all’Anac». Ma proprio ieri uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla corruzione, Paolo Ielo, ha detto anche lui di considerare «non utile» l’agente provocatore: «In un paese dove di corruzione ce n’è tanta non bisogna andare a inventarcela, dobbiamo scoprire quella che c’è». Al contrario il procuratore aggiunto di Roma ha detto di essere favorevole all’utilizzo di agenti infiltrati «molto utili per trovare e raccogliere le prove». Nel «contratto» si parla solo di valutare la possibilità di usare agenti provocatori, mentre si promette l’introduzione certa degli agenti sotto copertura. L’unica figura che Conte ha citato nel suo discorso programmatico al senato. Se non lo abbiamo frainteso. A. Fab.