Lo spettro dello scandalo Mose incombe sempre su Ca’ Farsetti. Cannibali del patrimonio, lobby degli appalti e squali della sussidiarietà non hanno mai mollato la presa su Venezia che considerano cosa loro. Il padiglione Acquae a Marghera, desolatamente deserto dopo l’inaugurazione di Renzi, sintetizza il flop dell’«economia mista» in laguna: perfino la vetrina collegata a Expo Milano non ripaga gli investimenti. Ma è già pronto il progetto di scavo del rio Contorta a beneficio delle Grandi Navi, con l’inossidabile Paolo Costa (ex rettore, ex sindaco, ex europarlamentare Pd) che resta fedele agli interessi degli “imprenditori” in concessione unica grazie al Consorzio Venezia Nuova. E a Tessera si rigioca la partita del business nel quadrante dell’aeroporto Marco Polo: Enrico Marchi, presidente di Save, caldeggia il masterplan che fino al 2021 farebbe decollare anche l’urbanistica a senso unico.

Il nuovo sindaco avrà già l’agenda infarcita per l’intera estate, tanto più che l’eredità del commissario Vittorio Zappalorto è davvero un incubo: conti in rosso per 56 milioni nella spesa corrente 2015, scure ad alzo zero sui servizi sociali e trasferimenti dello Stato a rischio “stabilità”. Domenica nei 256 seggi fra laguna, isole e terraferma i 211.132 elettori della città metropolitana sono chiamati a scegliere fra nove candidati sostenuti da 24 liste. È il giorno della verità per Felice Casson, 61 anni, ex pm e senatore “dissidente”: ha trionfato alle primarie, aggregato il “centrosinistra classico” e perso tre chili nella maratona della campagna elettorale di prossimità. Può vincere, forse, già al primo turno e cancellare il ricordo della sconfitta nel ballottaggio 2005 con Massimo Cacciari. Sarebbe un segnale inequivocabile per la “vecchia ditta” della Quercia veneziana, ma ancor di più per Renzi che avrebbe preferito un candidato più allineato.

Casson sulla scheda occupa la posizione centrale con i simboli della lista civica (con Nicola Pellicani in cima), Pd, Venezia 2020, Venezia bene comune, Socialisti e Venezia popolare. Il centrodestra si è spaccato in tre, perché alla fine Luigi Brugnaro (paròn di Umana e della Reyer Basket, ma anche sussidiario non solo a Confindustria) ha deciso di scendere in campo con la benedizione del ministro Alfano. Dovrà vedersela con Francesca Zaccariotto, ex presidente della provincia ed ex leghista, che sventola la bandiera di “Venezia Domani” insieme al tricolore di FdI. E con Gian Angelo Bellati, candidato della Lega che rispolvera il separatismo di Mestre da Venezia.

Il M5S si affida a Davide Scano, avvocato 39enne, sposato con due figli, che è già stato consigliere dei Verdi nella municipalità di Mestre. Completano il quadro dei candidati sindaco Francesco Mario d’Elia del Movimento autonomia Venezia, Camilla Seibezzi di “Noi la città”, Giampietro Pizzo di “Venezia cambia 2015” e Alessandro Busetto del Partito comunista dei lavoratori.

La vigilia del voto si consuma nel tradizionale porta a porta della coalizione di Casson, mentre sull’altro fronte si urla al massimo nel megafono della “sicurezza”. Domenica scorsa gli attivisti dei centri sociali Morion e Rivolta hanno contestato il comizio di Matteo Salvini con i gommoni a simboleggiare i diritti dei migranti e con un paio di cariche delle forze dell’ordine, che ora annunciano una raffica di denunce dopo le identificazioni della Digos. In attesa del verdetto delle urne, Filiberto Zovico (editore del quotidiano on line Venezie Post e promotore dei festival tematici) non nasconde lo scetticismo serpeggiante: «Già il recente voto in Trentino è stato un segnale esplicito del malessere sistemico a Nord Est. Venezia rischia di certificarne la paralisi, perché la città è stata letteralmente massacrata negli ultimi vent’anni. Il centrosinistra, al di là dei proclami, non ha mai saputo costruire un vero progetto per la capitale del Veneto. Unica eccezione la Biennale di Baratta che almeno ha restituito un tocco di internazionalità». Ora con Casson, che Zovico paragona a De Magistris a Napoli, si rischia perfino di replicare in un eventuale ballottaggio la sconfitta di Padova. «Per di più a beneficio di candidati del centrodestra non all’altezza di una città come Venezia, unica e delicata. Insomma, esauriti i privilegi e venduti i gioielli di famiglia l’offerta politica si rivela fallimentare: la lunga crisi di Venezia sarà esplosiva in assenza di un disegno, di un’amministrazione innovativa e di un effettivo governo della rigenerazione».