«Perché i potenti non vogliono la pace? Perché vivono sulle guerre» e «guadagnano con le armi». Davanti a 7mila alunni delle scuole primarie, che ieri mattina hanno partecipato ad un’udienza nell’aula Nervi in Vaticano nell’ambito di un’iniziativa promossa dalla fondazione «La fabbrica della pace» (animata dalla psicoterapeuta Maria Rita Parsi), papa Francesco mette da parte il discorso ufficiale e risponde a braccio a 13 domande dei bambini, affrontando con inevitabile immediatezza e semplicità di linguaggio temi come la guerra, gli armamenti, la pace, ma anche il carcere e la disabilità («A me non piace dire che un bambino è disabile, questo bambino ha un’abilità differente, non è disabile»).

La semplicità della comunicazione permette a Bergoglio di andare al nocciolo delle questioni, peraltro già affrontate in altre occasioni. «I potenti, alcuni potenti, guadagnano con la fabbrica delle armi, e vendono le armi a questo Paese che è contro quello, e poi le vendono a quello che va contro questo. È l’industria della morte», dice Bergoglio rispondendo ad un bambino egiziano di Torpignattara, popolare quartiere delle periferia romana. «Si guadagna di più con la guerra.

Si guadagnano i soldi, ma si perdono le vite, si perde la cultura, si perde l’educazione, si perdono tante cose». E per singolare coincidenza le parole del papa arrivano subito dopo la diffusione dei dati del 2014 sull’export italiano di armamenti, anticipata dal mensile dei missionari comboniani Nigrizia: 1 miliardo e 879 milioni di euro di esportazioni autorizzate dal governo (+34% rispetto al 2013), con quasi un terzo delle armi italiane (il 28%) finite nei Paesi del nord Africa e del Medio Oriente. «Tutto gira intorno al denaro – aggiunge Francesco –, il sistema economico gira intorno al denaro e non intorno alla persona, all’uomo, alla donna» e «si fa la guerra per difendere il denaro».

«La pace è prima di tutto che non ci siano le guerre», ma la pace è anche «giustizia», dice il papa, che fa ripetere in coro ai bambini – una costante delle catechesi «popolari» di Bergoglio, non limitata ai bambini – «dove non c’è giustizia, non c’è pace». «Tutti siamo uguali – prosegue –, ma non ci riconoscono questa verità, non ci riconoscono questa uguaglianza, e per questo alcuni sono più «felici» degli altri. Ma questo non è un diritto! Tutti abbiamo gli stessi diritti! Quando non si vede questo, quella società è ingiusta. E dove non c’è la giustizia, non può esserci la pace».

Nel carcere non c’è giustizia e non c’è perdono, dice anche papa Francesco (che, nella telefonata di qualche giorno fa per informarsi sulla sua malattia, ha invitato all’udienza anche Emma Bonino, paladina, insieme ai Radicali, dei diritti dei detenuti). «È più facile riempire le carceri che aiutare ad andare avanti chi ha sbagliato nella vita», che «aiutare a reinserire nella società chi ha sbagliato», aggiunge Bergoglio. «Tutti cadiamo. Ma la nostra vittoria è non rimanere «caduti» e aiutare gli altri a non rimanere «caduti». E questo è un lavoro molto difficile, perché è più facile scartare dalla società una persona che ha fatto uno sbaglio brutto e condannarlo a morte, chiudendolo all’ergastolo», «la soluzione del carcere è la cosa più comoda per dimenticare quelli che soffrono».

Discorso socialmente avanzato quello di Francesco, all’interno di una giornata che tuttavia presenta un elemento di confusione: la partecipazione ad un’udienza papale, in orario scolastico, di 7mila alunni delle scuole primarie – metà frequentanti istituti statali, metà istituti cattolici –, con la benedizione del ministero dell’Istruzione, come ha ricordato lo stesso Francesco al termine del suo discorso. Non si tratta di un’attività di culto – la normativa non permette di organizzarle durante le lezioni –, ma comunque di un’iniziativa a forte connotazione confessionale.