E’ la prima grossa tempesta della ripresa politica dopo le vacanze: Nicolas Hulot, popolare ministro dell’Ecologia, lascia il governo. L’annuncio è arrivato di sorpresa, alla radio, ieri mattina. Hulot non aveva avvertito nessuno, né il presidente Macron, né il primo ministro Edouard Philippe. Macron, in visita in Danimarca, ha cercato di relativizzare: ha parlato di “decisione personale” di un “uomo libero” e ha affermato di “contare su un suo impegno sotto altre forme” nel futuro. Ma il colpo è pesante per Macron. Già l’autunno si annuncia difficile, tra lo strascico del caso della guardia del corpo Benalla, la presentazione di una finanziaria di rigore e la crisi europea, che sta mostrando la posizione di debolezza di Macron, che si trova isolato nella Ue.

Nicolas Hulot lascia, deluso dai tempi troppo lenti della politica e da una serie di sconfitte che ha dovuto incassare nei 15 mesi che ha passato al governo. “Non capisco perché assistiamo alla gestazione di una tragedia ben annunciata attraverso l’indifferenza – ha detto su FranceInter – la terra sta diventando un forno, le risorse naturali si esauriscono, la biodiversità fonde come neve al sole. E ci si adopera a rianimare un modello economico che è causa di tutto questo disordine”. E’ questa la ragione delle dimissioni: c’è un’emergenza che Macron sembrava aver capito, rilanciando la Cop21 con il One Planet Summit dello scorso dicembre, ma nei fatti il modello economico tradizionale – e le lobbies che lo difendono con le unghie e con i denti – continua ad essere vincente. Hulot fa la constatazione che Macron ha tradito la promessa di avviare una transizione verso un sistema economico di sviluppo sostenibile che rispetti l’ambiente. Hulot ha detto che “la Francia fa molto di più di altri”, ma le “pressioni” del mondo economico sono troppo forti per agire: “abbiamo cominciato a ridurre le emissioni a effetto serra? No. Abbiamo cominciato a ridurre l’utilizzazione dei pesticidi? No”, anche l’erosione alla biodiversità non è stata contrastata, secondo Hulot, il Ceta (accordo Ue-Canada) è passato. “Non voglio più mentire a me stesso”, ha concluso. Uno dei nodi è stato il nucleare, che in Francia contribuisce al 75% per la produzione di energia elettrica. Hulot ha capito che far passare un programma di riduzione al 50% entro il 2025 era impossibile, di fronte a forze economiche come Edf e Areva (la Francia esporta centrali nucleari). La tensione è stata sempre forte con il ministro dell’agricoltura, Stéphane Travert, che difende gli interessi del settore (che frena, a cominciare dalla rinuncia ai pesticidi, la Francia ha solo ottenuto che nella Ue si discuta tra 5 anni sul glyfosato, che Hulot avrebbe voluto abolire entro 3 anni). Hulot ha constato che i tempi della politica sono lunghi, che gli interessi sono potenti.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la presenza di Thierry Coste, un lobbista della caccia, all’incontro di lunedi’ all’Eliseo: in presenza di Hulot, Macron ha ricevuto il presidente della Federazione della caccia, Willy Schraen, a cui ha promesso di dimezzare il costo del permesso (oggi a 400 euro l’anno, in Francia c’è 1,2 milioni di cacciatori). Hulot non solo ha perso la partita contro i cacciatori, ma la presenza del lobbista Coste è stato interpretato come il simbolo della potenza delle lobbies nella presidenza Macron.

“La maschera è caduta” per l’opposizione ecologista. Le dimissioni di Hulot sono “la fine dell’illusione” per il verde Yannick Jadot. Benoît Hamon di Génération.s punta in dito contro il nuovo “caso” del lobbista Coste. Jean-Luc Mélenchon, che nel fine settimana ha dedicato una parte del suo discorso di fronte ai militanti della France Insoumise alle questioni ecologiche, le dimissioni di Hulot equivalgono a “un voto di censura contro Macron”.

Macron perde il suo ministro più popolare (forse l’unico del governo Philippe). Adesso bisognerà vedere se queste dimissioni si trasformeranno in un “elettrochoc”, come vorrebbe Hulot. Non sarà facile sostituire un personaggio come Hulot, che si era fatto un nome attraverso la tv e la sua conversione tardiva all’ecologia, di cui era diventato il portavoce più ascoltato nel paese, come un nuovo comandante Cousteau. A Hulot già Nicolas Sarkozy e François Hollande avevano offerto un ministero, ma lui aveva sempre rifiutato. Lascia il ministero su molte sconfitte e poche vittorie: tra queste, la rinuncia alla costruzione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, vicino a Nantes e l’impegno a mettere le parole “ambiente, clima e biodiversità” nell’articolo 1 della Costituzione.