I nostri sensi sono inaffidabili senza una rete di connessioni che li interroghi, li espanda, li affini e elabori i loro dati. L’interconnessione dei sensi e il loro essere contessuti con le emozioni, con i pensieri e con i ricordi nella trama erotica, affettiva, mentale e temporale dell’esistenza, assegnano ad essi un valore di «verità»tutte le volte che la loro attiva presenza promuove la trasformazione della materia psicocorporea umana. I sensi restano invece «muti», indipendentemente dalle sensazioni che producono, quando sono avulsi da un movimento di esposizione/apertura al gusto del vivere.

La «credibilità» dei nostri sensi è minata dall’allucinazione (spesso interpretativa piuttosto che percettiva), dall’illusione (la sensazione immaginata più che vissuta) e dall’assuefazione, celata, il più delle volte, sotto lo stordimento. Una forma particolare di deformazione percettiva è l’anestesia psichica, quella non indotta da disturbi organici o da cause esterne. È un’allucinazione «negativa»: la non percezione di cose che ci sono (l’opposto della percezione di cose che non ci sono).

Essa è diffusissima. Non tanto nelle forme evidenti, drammatiche presenti in alcune psicopatologie, quanto come «alessia» delle proprie sensazioni, incapacità di leggerle e interpretarle in modo adeguato.

Una forma insidiosa di alessia dei sensi è il loro ottundimento mediante «parestesie» indotte da droghe e pratiche eccitanti/calmanti.

L’anestesia sospende il tempo, appiattisce le emozioni e distrugge la qualità sensoria del pensiero: la capacità di pensare le cose con la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’olfatto.

La caduta dei sensi, senza i quali i nostri pensieri e i nostri sentimenti non «sanno» di niente (sono insieme ignoranti e insipidi), rende il marciume che invade l’esistente impercettibile.

La scorsa domenica Ginevra Bompiani ha parlato su questo giornale di una pestilenza anonima e solitaria (che colpisce chiunque come monade sfortunata, sradicata dal resto della comunità). Prodotti dall’azione di «agenti patogeni che scorrazzano per le strade senza curarsi di nessuno», cancro, Alzheimer, sla, sclerosi multipla falciano vite a destra e a manca. Il richiamo indiretto alla pestilenza (razzismo, scarica diarroica delle emozioni, estraniazione) che colpisce la nostra vita di relazioni, è potente.

Ciò che più ci avverte del processo di decomposizione, che più penetra la nostra percezione, svegliandola dal torpore, è il cattivo odore.

Il fetore che ci avverte della presenza della morte. La sua azione penetrante dipende, tuttavia, dalla presenza di un’aria che circola, crea un netto contrasto tra cattivi e buoni odori e, al tempo stesso, le premesse di una distinzione tra le varie sfumature aromatiche della vita.

L’alleanza nel nostro paese tra le tendenze razziste sempre più forti nel nord e gli interessi clientelari coltivati nel sud (che va avanti da almeno venticinque anni) non è destinata ad «andare a male».

Di un processo di degenerazione essa non può essere la causa perché ne rappresenta il trionfante effetto.

Il degrado etico, culturale, politico e quello delle nostre condizioni materiali e ambientali descritto da Bompiani hanno la stessa origine dell’anosmia di cui soffriamo senza accorgercene: la chiusura dei nostri spazi di vita al ricambio d’aria, lo sbarramento dei confini alla libera circolazione delle persone, dei pensieri, dei sentimenti, della cultura e dei beni.

L’adattamento progressivo all’odore della morte (preceduto da quello dello stantio e della muffa) proseguirà inesorabile. A meno che non decidiamo di aprire le nostre finestre alla vita.