L’incontro tra l’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli e i segretari provinciali di Fiom, Fim e Uilm è servito soltanto per confermare quanto rappresentato dalla multinazionale nella lettera inviata lunedì sera, e quanto scritto dai legali dell’azienda nell’atto di citazione presentato ieri al tribunale civile di Milano. Nel quale si chiede di accertare e dichiarare l’efficacia del diritto di recesso dal contratto di affitto con obbligo di acquisto sottoscritto nel giugno 2017.

COME NON BASTASSE, ai sindacati Morselli ha confermato che da oggi partirà la procedura dell’art. 47, con l’avvio formale del passaggio degli impianti e degli 8.200 lavoratori alla gestione commissariale. L’azienda ha però confermato il pagamento degli stipendi, la tenuta in marcia degli impianti e il mantenimento degli impegni nell’attuazione del Piano Ambientale per i prossimi 30 giorni. Quando i sindacati hanno chiesto a Lucia Morselli se non ci fossero più possibilità di ripensamento, l’ad ha risposto che una scelta del genere non spetta a lei: sarà decisivo il vertice odierno a Palazzo Chigi con il premier Conte. Seppur precisando che anche l’eventuale ripristino delle tutele legali non basterà a far recedere l’azienda dalle sue intenzioni di lasciare l’Italia.

CHE L’AZIENDA, con il rinnovamento del board, avesse già deciso quale strada intraprendere era chiaro. Al di là della crisi di mercato e dei dazi commerciali, il primo anno di gestione dell’ex Ilva è stato economicamente fallimentare: perdite per 150 milioni di euro a trimestre, pari a 2 milioni al giorno, produzione ferma a 4,5 milioni a fronte dei sei previsti, oltre 1.200 lavoratori in cassa integrazione da luglio a dicembre. A ciò si aggiungano i problemi derivanti dal sequestro dello sporgente del porto dove si scaricavano i minerali di ferro e carbone, dopo il tragico incidente mortale dello scorso 10 luglio che costò la vita al 40enne Cosimo Massaro.

INFINE, IL SEQUESTRO senza facoltà d’uso dell’altoforno 2, per la mancata attuazione da parte della gestione commissariale delle prescrizioni indicate nel 2015 dal tribunale di Taranto, dopo l’incidente che costò la vita a un altro giovane operaio, Alessandro Morricella. Secondo i commissari, quelle prescrizioni sono inattuabili perché disegnate per impianti di ultima generazione. E servirebbero 12 mesi e non i tre indicati dal tribunale del Riesame per attuarle. Senza l’altoforno 2, che la Procura ha dichiarato pericoloso per lavoratori e ambiente, e contando altri mille operai in cassa integrazione, l’azienda perderebbe un terzo della produzione. Insomma, un disastro economico perfetto.

A COMPLETARE IL QUADRO, quella che per l’azienda è la variabile impazzita: l’incertezza legislativa di un esecutivo che in un anno ha cambiato più volte idea sul siderurgico tarantino. La soppressione delle tutele legali impedisce l’intervento sugli impianti sotto sequestro, per attuare il Piano Ambientale. Venendo meno ciò, non può essere realizzato il piano industriale, che poggia le sue previsioni su impianti che da qui al 2023 dovranno essere risanati. Tra l’altro, il governo a maggio ha deciso il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale: a fronte di nuove evidenze scientifiche sulla correlazione tra inquinamento e fenomeni di malattia e morte, si chiederebbe all’azienda di attuare interventi più stringenti, il che renderebbe inutili quelli realizzati sino a quel momento. Cambiamento legislativo e normativo, che per l’addendum al contratto, prevede il diritto al recesso da parte dell’azienda.

Insomma, il caos è totale. Difficile prevedere il futuro. Molto dipenderà da cosa accadrà oggi a Roma. Che la multinazionale stia giocando al rialzo, è chiaro. E che abbia agito per tempo tutelandosi legalmente anche.

TOCCA DUNQUE ALLA POLITICA dire l’ultima parola, come è giusto che sia. Bisognerà chiarire sino in fondo quale futuro si vuole per il settore manifatturiero italiano, per la produzione siderurgica italiana, per lo stabilimento di Taranto e soprattutto per la città di Taranto. Al di là delle dispute legali e legislative, ognuno è tenuto a rispettare gli impegni presi. Qualora ciò non dovesse accadere, bisognerà avere il coraggio di prendere una strada chiara e dare finalmente attuazione concreta ad un Piano B credibile, serio, praticabile. Qualunque esso sia. Perché il problema è molto più grosso della semplice reintroduzione delle tutele legali. O di una revisione del prezzo rispetto all’affitto e all’acquisto da parte di ArcelorMittal.