Nell’agosto del 1908 Renato La Valle, a 22 anni, arrivava nell’allora Costantinopoli. Fino a poco prima aveva scritto cronache locali sul Giornale di Abruzzo e Molise. In Turchia, Impero Ottomano, viene mandato da Alberto Bergamini direttore del Giornale d’Italia, fondato da Sidney Sonnino. Renato non sa bene neanche dove è capitato; sa solo che in Turchia è in atto un colpo di stato e che il mondo sta per cambiare.

Come osserva Raniero La Valle, però, «nessuno in Europa ne sapeva niente. L’Europa orgogliosa e chiusa nella sua chiusura si credeva il centro civilizzato del mondo». L’Italia, che era ancora «regno», si sarebbe accorta della Turchia solo quando contro Costantinopoli si ritrovò in guerra per la Tripolitania.

Analogie, tante, con la situazione internazionale di oggi (la Libia ma non solo), per un libro che non solo racconta il declino dell’Impero ottomano in presa diretta, ma che consente anche una riflessione sul giornalismo di allora e di oggi.

Si tratta di Cronache ottomane di Renato La Valle, Come l’occidente ha costruito il proprio nemico (Bordeaux edizioni, pp. 280, euro 16). Nel libro i brani originali dell’epoca «trasmessi» dal giornalista alla redazione sono intervallati dai sapienti interventi del figlio, Raniero La Valle; frammenti utilissimi per comprendere il quadro politico internazionale di allora e perfetti nel tracciare quella linea di continuità che purtroppo, specie in alcune zone del mondo, è ancora oggi visibile. Non ultimo il destino italiano con la Libia e le nefandezze delle grandi potenze in complicate evoluzioni storiche.

A dire il vero, nonostante le evidente difficoltà logistiche, il giovane cronista protagonista del libro con i suoi articoli dell’epoca, ha una scrittura brillante, confidenziale, in grado di instaurare un rapporto complice con il lettore, messo anche al corrente delle difficoltà sul campo: quelle relative alla trasmissione degli articoli (via telegrafo, via telefono, talvolta spediti per posta), poi quelle di trovare qualcuno che possa raccontare i fatti senza una propria agenda e ancora la censura della nuova Turchia.

Renato La Valle – però – ci mette poco ad ambientarsi, anche perché sono giorni concitati, dove chiunque vuole dire la sua e dove alcune evoluzioni sono percepite con grande acume dal cronista. Con il piglio e la curiosità di un giovane catapultato in una città in preda a storici cambiamenti, La Valle osserva la silenziosa rivolta dei Giovani Turchi, ispirati dalla «Giovine Italia» di mazziniana memoria. Ne racconta il successo dapprima nel riportare in auge la costituzione, poi nella resistenza alla controrivoluzione del Califfo dell’Islam Abdul Hamid e infine nella definitiva vittoria, seppure con il passaggio transitorio del nuovo sultano Mehmet V.

In mezzo a questa parte di Storia, ci sono tutti i patimenti di un Impero al collasso, che perde via via territori. Riguardo la dimensione dell’allora Impero ottomano, basti pensare che i Giovani turchi arrivavano per lo più da Salonicco. E non basterà la loro presa del potere per impedire la perdita della Bulgaria, della Bosnia Erzegovina e infine il colpo al cuore di Creta.

Una disgregazione territoriale che apparirà anche morale, con il tentativo di creare uno stato costituzionale laico, di fronte al quale proverà a resistere l’islamismo e nel quale si annida in modo drammatico la questione delle nazionalità e delle identità religiose dell’Impero. L’incredibile capacità di Renato La Valle si evince proprio nel tratteggiare i futuri dilemmi della Turchia dei Giovani turchi: ancora a pochi giorni dal primo colpo di stato, La Valle nei suoi articoli riesce già a intravedere il destino terribile che arriverà da lì a poco per gli armeni. Il cronista, con grande capacità di analisi, elemento difficilissimo da trovare in giornate nelle quali la cronaca sembrava quasi impossibile da riassumere in un unico articolo, percepisce nel clima che respira gli elementi dannosi o che in futuro porteranno al genocidio armeno, ancora oggi negato dalla Turchia.

E all’interno degli eventi storici che La Valle vive in presa diretta, riesce ad affrescare la complessità di un paese, la Turchia, che ancora oggi, grattando la cornice imposta da Erdogan, sembra ribollire anche nella nuova veste autoritaria imposta all’antica Bisanzio.