Nella linea locarnese di prestigiose e accurate retrospettive, rivolte negli ultimi anni a cineasti americani ma in precedenza anche europei, compresi alcuni italiani, la scelta del festival di quest’anno intitolata Titanus. Cronaca familiare del cinema italiano e curata dallo scrivente e da Roberto Turigliatto, è oggettivamente il maggior sforzo che il festival ticinese compie nella sua lunga storia di porre il cinema italiano al centro dell’attenzione. C’era stata parecchi decenni fa la magnifica retrospettiva Lux curata da Farassino e Sanguineti, c’erano state retrospettive d’autore dedicate a Camerini e Bragaglia, e più brevi omaggi a Freda, Cottafavi, Risi ecc. Ma quello che salta agli occhi quest’anno è il fatto che ci si rivolga a una casa di produzione tuttora attiva e la cui vicenda si sovrappone su gran parte della storia del cinema italiano, dai primi passi di Gustavo Lombardo nel 1904 alla presa in consegna della casa da parte del figlio Goffredo nel 1951 alla recente direzione da parte di suo figlio Guido. Sarebbe stato impossibile dare un quadro esaustivo di tutta questa vicenda in un festival, e infatti i curatori, d’intesa col direttore Carlo Chatrian, hanno centrato la selezione sul periodo 1945-1965, che fa coincidere la maggior fertilità produttiva della casa con il momento più centrale del cinema italiano a livello internazionale; ma ovviamente alcuni flashback e flashforward, che almeno accennassero a come questi 21 anni s’inseriscano nei 110 anni della complessiva storia, sono stati necessari. Il risultato sono i 51 programmi del palinsesto locarnese, di cui si avranno ulteriori ampliamenti nelle tappe di circuitazione svizzere, americane e italiane, quest’ultime in ordine di data al festival I mille occhi di Trieste (con 9 new entries), alla Cineteca Nazionale di Roma (con 16 titoli aggiunti), al Museo nazionale del cinema di Torino e alla Cineteca di Bologna.

Già da questo sintetico e parziale quadro è evidente come nella realizzazione della rassegna siano confluite molteplici attenzioni e collaborazioni. Soprattutto la Cineteca di Bologna (che detiene il Fondo Titanus) e la Cineteca Nazionale hanno contribuito in modo essenziale, e la seconda si è resa coeditore come CSC con le Edizioni Sabinae del volume omonimo pubblicato per la retrospettiva, e curato dai curatori della stessa insieme a Simone Starace.

Benché appaia incoraggiante l’aspettativa che la rassegna ha suscitato, sembra qui giusto (soprattutto da parte di un cocuratore) prendere per le corna i possibili dubbi sulle scelte fatte. Tutti sappiamo che la Titanus era stata oggetto di una remota retrospettiva (con volumi) della Mostra di Pesaro ad Ancona, che la casa stessa è stata sempre attenta a rievocare la propria storia coeditando anche un importante volume di Bernardini e Martinelli (e degli stessi anche un volume sull’attrice “di famiglia” Leda Gys), e che nel corso della realizzazione di questa rassegna è uscito uno studio di Francesco Di Chiara preceduto da un volume di Anile e Giannice sul film elettivo del produttore, Il Gattopardo. Di fronte agli estesi coni d’ombra della conoscenza del cinema italiano, e delle sue stesse ramificazioni produttive, la Titanus può persino apparire privilegiata nelle attenzioni dedicatele sinora, per quanto meritate.

Ai curatori è però parso chiaramente, nel proporre la rassegna al festival, che (senza nulla togliere al valore dei precedenti studi) alcune cose essenziali del ruolo della Titanus andavano esplorate. In primo luogo il suo inserirsi nell’organismo generale del cinema italiano e il suo divenire un punto centrifugo di questo cinema, per cui insieme alle produzioni ufficiali ne vanno visti i film distribuiti che convergono col percorso produttivo; le stesse produzioni sono talvolta condivise con altri importanti produttori italiani e stranieri ma al ruolo pur importante di questi si somma la visibile impronta Titanus. Per un certo periodo (dagli anni ’30 agli anni ’60) il perno segreto di tutta la presenza Titanus divengono i suoi studi, molto più “familiari” di una Cinecittà (e molto meno esibiti della successiva Dinocittà), studi in cui oltre a realizzarsi tutte le produzioni della casa si realizzano anche film di altri produttori. La Titanus fa una scelta esattamente inversa alla Lux, che mai ha avuto studi propri; per Gustavo Lombardo la creazione di quel microcosmo ha costituito la premessa alla produzione. Perciò lo scrivente, nel volume, ha voluto percorrere tutta la vicenda del Raffaello Matarazzo postbellico, film Titanus e non, sottolineandovi il centro di gravitazione sugli studi Titanus.

Su Matarazzo i curatori sono convinti che si siano tramandati nel tempo non pochi fraintendimenti: nel passaggio della casa alla linea del cinema d’autore a inizio anni ’60 lo si è emarginato come mestierante fuori moda. Era invece tra i massimi autori italiani, come evidenzia il suo ultimo, quasi inedito capolavoro Amore mio che a Locarno persino l’attrice protagonista, Eleonora Brown, vedrà per la prima volta. A parte il faro critico Jacques Lourcelles, sul regista si sono coniugati come dei passepartout concetti quali genere e popolarità, e la stessa benemerita scoperta savonese, a cui chi scrive è lieto di aver partecipato, si è affrettata a chiudere i discorsi piuttosto che aprirli.

Oggi la vicenda Titanus ci abbaglia per come in essa, nelle sue stesse peculiarità familiari, pur oscillanti tra geniali determinazioni e macroscopici errori, non pochi autori tra i più grandi del cinema italiano abbiano trovato un approdo ai livelli più alti della loro opera: e si va da Matarazzo a Zurlini, Visconti, Lattuada, Comencini, Bolognini, Olmi, Rondi, De Seta (fino al primo Argento e al primo Tornatore), o anche occasionali ospiti come Genina, Rossellini, Antonioni, Fellini, Rosi, De Sica, Freda, Bianchi, Bava… Certamente la Titanus ha sbagliato ad aver perso Pietrangeli dopo il primo film, o a essersi privata di De Santis; del frequentemente incrociato Risi ha invece forse sottolineato sin troppo la bella idea del cinema come vacanza, anziché favorirne le direzioni più intense. Vanno però aggiunti ai citati autori alcuni registi “di genere” che oggi si rivelano autori di pari livello: Bragaglia, Mastrocinque, e subito dopo Brignone, Sergio Corbucci, Ettore M. Fizzarotti e i film più eccessivi (non solo cultizzabili) di Amendola-Maccari, Margheriti e Cicero. Certo, nessun Cottafavi, nessun Emmer, né l’intercettazione del transito italiano di Dreyer per Jesus… ma nessuno può avere tutto.

La Titanus ha persino incrociato nelle coproduzioni francesi Melville, Jacques Becker e Chabrol, e nel cinema americano, di cui pur aveva un’immagine-clichè, i detournanti Tourneur e Ulmer.

Ce n’è abbastanza per rendere questa retrospettiva non una celebrazione ma un’auspicata apertura di discorsi. E se un film come l’ultimo Matarazzo Amore mio incontrerà per la prima volta l’amore di tutti, ci basterà a non aver fatto una cosa inutile.