«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Era il 1982 quando il biondo replicante Roy Batty, interpretato da Rutger Hauer, pronunciava queste parole in Blade Runner di Ridley Scott prima di soccombere di fronte a Rick Deckard-Harrison Ford. Non tutti sanno che la frase originaria era piuttosto lunga e Hauer propose a Scott di tagliarla molto, perché secondo lui la scena non poteva essere così lunga, in fondo il replicante stava per morire. D’accordo col regista rimase la prima parte di copione fino a «Tannhäuser», poi improvvisò il resto. E sul set fu commozione. Il film all’inizio non sembrava funzionare, poi è divenuto un cult e uno dei momenti più importanti, ricordati e citati è proprio quel monologo del replicante in punto di morte.

ORA, PURTROPPO, è venuto il tempo di morire anche per il suo interprete Rutger Hauer. A 75 anni, dopo una breve malattia, se n’è andato il 19 luglio scorso, ne ha dato notizia il suo agente Steve Kenis a funerali avvenuti.
Hauer era nato nel 1944 a Breukelen, in Olanda, un piccolo centro, ora inglobato in un altro comune, che ha come caratteristica principale quella di avere dato il nome al quartiere newyorkese di Brooklyn. In quanto figlio di due insegnanti di recitazione poteva sembrare che il suo destino fosse segnato. Ma Rutger doveva essere un tipino insofferente al punto che a 15 anni molla tutti per imbarcarsi su una nave commerciale. Torna dopo tre anni, sembra convertirsi al talento famigliare, ma deve partire militare.

SOLO PIÙ TARDI, finalmente, comincia la sua carriera di attore con un gruppo sperimentale la Noorder Compagnie, lavorando diversi anni sia come interprete che come regista, costumista e traduttore. Poi l’incontro decisivo con Paul Verhoeven che lo sceglie per la serie tv Floris, su cavalieri crociati e intrighi. Grande successo, al punto che la serie venne ripresa qualche anno dopo. Sempre con lo stesso regista gira come protagonista accanto a Monique van de Ven Fiore di carne (1973), il più grande successo cinematografico della storia olandese, nominato all’Oscar. Stessa squadra per Kitty Tippel un paio d’anni dopo. Hauer ormai è conosciuto anche all’estero e viene reclutato per Il seme dell’odio di Ralph Nelson accanto a Sidney Poitier e Michael Caine, ma è ancora Verhoeven a portarlo al successo con Soldato d’Orange e poi con Spetters. Ormai pronto per Hollywood, lì arriva per Nighthawks accanto a Sylvester Stallone, seguito quasi subito dalla consacrazione mondiale per l’interpretazione di Blade Runner.
Da quel momento interpreta un numero impressionante di film, attraversando ogni genere, con qualche preferenza horror. Lavora in Eureka di Nicholas Roeg, Osterman Weekend di Sam Peckinpah, Ladyhawke di Richard Donner, ma il vero trionfo avviene quando incontra Ermanno Olmi che lo vuole protagonista in La leggenda del santo bevitore da Joseph Roth, presentato e premiato a Venezia nel 1989.

DA ALLORA, anche grazie alla conoscenza delle lingue che gli ha permesso di girare ovunque, la sua è stata una sorta di bulimia, ha lavorato anche con molti registi italiani. Ma la magia di quel replicante e del santo bevitore non si sono più verificate. Poi c’era anche il suo aspetto a condizionarlo, con quell’aria da biondo ariano dagli occhi chiari è stato più volte chiamato a ruoli da nazista, per onestà va detto che ha anche interpretato personaggi perseguitati dagli stessi nazisti. La sua carriera è senza dubbio singolare perché capace di spaziare tra grandi produzioni spettacolari e film di budget più modesto, d’essai come si diceva una volta.
Blade Runner è ambientato nel 2019 e il replicante Roy Batty muore quindi in quell’anno, all’epoca futuribile. Per questo inquieta che Rutger Hauer, che a quel personaggio era molto legato, sia morto, in realtà, nello stesso anno.