Qualche lacrima, un mancamento, molta nostalgia. Berlusconi ha battezzato la resurrezione di Forza Italia con un comizio tra i più misurati della sua carriera. Chiede esplicitamente ai suoi di non trattare i transfughi da traditori: «Dovranno entrare in coalizione con noi, come la Lega e Fratelli d’Italia». Dunque non bisogna scavare fossati incolmabili. Anche sul governo l’eterno leader procede con i piedi di piombo. Molte, moltissime critiche alla politica economica, ma senza infierire e, soprattutto, senza farsi scappare di bocca una parola che permetta di dire che Forza Italia passa all’opposizione.
Al contrario, i toni usati dal Cavaliere sembrano preludere più a un appoggio esterno: «Potremmo, pur non facendo parte della maggioranza, votare quei provvedimenti che ci convincono». Una decisione vera non è ancora stata presa, ma molti, tra cui Minzolini in questa fase molto ascoltato a palazzo Grazioli, premono in quella direzione. Quella dell’appoggio esterno sarebbe una mossa astuta. Metterebbe in massima difficoltà il Pd di Renzi e impedirebbe agli scissionisti di affermare che hanno fondato il loro Nuovo centrodestra per salvare il governo e non i loro incarichi.
Di fronte al 70% dei componenti del Consiglio nazionale (che con gli assenti giustificati arrivano almeno al 75%) il capo ferito esordisce prendendo subito per le corna il toro della lacerazione. «Ieri eravamo a un passo dall’accordo con i 5 ministri», svela, e per sostanziare l’affermazione legge le aggiunte al documento varato dall’ultimo Ufficio politico concordate con loro. Non c’era stata, è vero, la convocazione del medesimo Ufficio per santificare la nuova versione del documento, che in sostanza rinviava ogni decisione a dopo il voto sulla decadenza, ma è un particolare. Però, a trattativa ancora aperta, è arrivata «una notizia che mi dato molto dolore: la loro decisione di formare gruppi parlamentari autonomi» (qui la lacrima, e se era finta bisognerà riconoscere ancora una volta al grande imbonitore vere doti di recitazione).
Berlusconi passa quindi al contropelo la politica economica del governo, tratteggia una strategia alternativa fondata sulla capacità di tenere botta a fronte dei diktat europei. Verrebbe quasi da dargli ragione, se non fosse che il primo ad accettare quei diktat, e poi a votarli uno per uno nella fase del governo Monti, è stato proprio lui. E’ l’eterno Berlusconi, tanto uguale a se stesso che per una volta nemmeno pare invecchiato: capace di mischiare come nessun altro verità e bugie per produrre una versione addomesticata e falsa della realtà.
Il copione si ripete quando il condannato arriva al nodo più doloroso, l’imminente estromissione dal Parlamento. E’ repertorio puro, come la lunga tirata precedente sui mali del comunismo, con toni che neppure nella guerra fredda, ai tempi dei cosacchi in piazza san Pietro. Nel cuore della lamentazione sulla persecuzione politico-giudiziaria, però, una novità forse c’è. Il pregiudicato annuncia l’imminente arrivo di carte (provenienti dagli Usa) che, giura, gli permetteranno di chiedere e ottenere con certezza la revisione del processo. In larga parte è propaganda. Serve a dire che vogliono cacciarlo dal Parlamento proprio perché sanno che la «montatura giudiziaria» sta per sfasciarsi. Ma qualcosa di vero ci deve essere, o almeno l’uomo deve sperarci sul serio.
Infine la legge elettorale: il giro di parole è lunghissimo e dettagliato, ma la conclusione è secca. Forza Italia vuole mantenere il porcellum, perché portare al 42% la soglia per accedere al premio di maggioranza vorrebbe dire imporre per l’eternità le larghe intese. Se la sentenza della Cassazione lo renderà impossibile, il nuovo-vecchio partito movimento (che si scosta da quello del ’94 quasi solo perché i circoli, stavolta, si chiameranno direttamente Forza Silvio) si batterà per una soglia del 35%, certo di trovarsi a fianco Grillo ma probabilmente anche con Renzi.
Alla fine del discorsone, Silvio accusa un lieve malore. Si riprende, torna sul palco, rilegge paro paro la lista dei valori del ’94, il coro attacca l’inno di allora e cala il sipario. Dopo la lacerazione non ci poteva essere nessuna sorpresa. Alfano replica nel pomeriggio, in una più dimessa conferenza stampa. Offre la sua versione, conferma che non si poteva entrare in Forza Italia per il bene dell’Italia: «Prevaleva l’ipotesi del voto anticipato». Ringrazia Silvio, conferma che il suo partito resterà con i piedi piantati nella destra senza derive neocentriste. Dà anche, finalmente, i numeri dei gruppi parlamentari: 30 senatori, 27 deputati. Non sono pochi ma la prova vera lo attende alle europee, e dimostrare di non essere solo un partito di parlamentari che avevano paura di perdere il posto non gli sarà facile.