La rivoluzione «lacrime e sangue» di Deutsche Bank. Una cura da cavallo per resuscitare la più grande banca tedesca che ha in cassaforte la stratosferica cifra di 48 trilioni di euro in derivati finanziari.
Sarà la più radicale ristrutturazione nella storia dell’istituto fondato a Francoforte 150 anni fa: si concluderà fra tre anni con 6,7 miliardi «risparmiati» e la distribuzione di 5 miliardi di dividendi agli azionisti.

A PAGARE IL PREZZO saranno i lavoratori: su 97 mila dipendenti ben 18 mila verranno licenziati. Mentre la vera zavorra – 74 miliardi di euro di crediti a rischio – finiranno in una bad bank parallela, da riempire di prodotti finanziari altamente tossici.

Così ha annunciato ieri Christian Sewing, ceo di Deutsche Bank, dettagliando alla stampa i cardini del piano che costerà alle casse della banca 2,8 miliardi di euro, farà registrare il 20% in meno degli attivi, e a fine anno si tradurrà in un bilancio in perdita.

Sacrifici obbligati in nome della «competitività» e della gestione più «razionale» dell’istituto sempre meno proverbialmente infallibile. Esuberi, da tagliare nel nome della soddisfazione del cliente che «diventerà la nostra unica ossessione», come sottolinea Sewing.

In realtà, dopo il fallimento della fusione con Commerzbank, la preoccupazione del ceo è legata alle scarse performance della quotazione in borsa: il titolo Deutsche Bank negli ultimi 14 mesi ha perso oltre il 30% del valore.

A giugno nelle «Twin Towers» di Francoforte, sede centrale della banca, era scattato l’allarme rosso dopo il raggiungimento dei 5,8 euro per azione. Ieri all’apertura dei mercati è tornata di nuovo oltre la soglia dei 7 euro ma resta immutata la preoccupazione di Sewing per gli investitori che incassano dividendi da lui definiti «deludenti».

È IL PREAMBOLO per cambiare tutto. Secondo il nuovo piano il private banking e l’investment banking saranno riuniti nell’unica sezione corporate. In questo modo si risparmiano i costi che complessivamente nel 2022 non dovranno superare i 17 miliardi. Significa, oltre il gergo finanziario, lasciare a casa un quinto dei dipendenti soprattutto delle filiali negli Stati Uniti in Regno Unito.

Meno uomini e più tecnica, è la nuova parola d’ordine di Deutsche Bank: tra gli investimenti annunciati nel mare di tagli spiccano 13 miliardi alla voce information technology, di cui un terzo per il controllo.
Dopo la riunione del Consiglio di vigilanza della banca di domenica, il sindacato Ver.di ha confermato: «Il significativo ridimensionamento corrisponde a un cambio di direzione generale dell’istituto». Frank Bsirske, presidente di Ver.di., auspica che «il passo radicale al fine di stabilizzare Deutsche Bank preservi i posti di lavoro in Germania a lungo termine. La riduzione dei dipendenti dovrà avvenire principalmente nel campo dell’investment banking. Per adesso non possiamo ancora quantificare con certezza l’impatto sulle filiali tedesche. Di sicuro però la riduzione del personale andrà fatta in maniera socialmente responsabile». Un mezzo avvertimento dopo che nel 2018 la banca di Francoforte ha già tagliato 6 mila posti di lavoro a causa del calo del 20% dei profitti.

MA LA RIVOLUZIONE di Deutsche Bank è legata a doppio filo anche alle cause legali perse in seguito agli scandali oltre oceano, tra cui il caso dei «Panama Papers». Spicca la megamulta da 2,5 miliardi di dollari dell’aprile 2015 per il “caso Libor” (il tasso che fissa il costo dei prestiti tra le banche e ai clienti) che costò le dimissioni all’ex direttore generale, quattro dirigenti più il vice presidente della sede di Francoforte.
Ottocento milioni di dollari versati alla commodities futures trading commission di Washington, 775 al Dipartimento della Giustizia Usa e 340 milioni di dollari financial conduct authority di Londra. Recuperabili, in parte, con 18 mila lavoratori in meno.