Lacrime amare per un dittatore che, come direbbe Draghi, «ci faceva comodo». In poche ore dalla sua morte, Idriss Déby, autocrate implacabile, ucciso ufficialmente dalle ferite riportate contro il Fronte dei ribelli gorane (tebu), è diventato l’uomo più rimpianto del continente. Lo scossone è così forte che sta agitando l’intero Sahel e le cancellerie occidentali, sempre alla ricerca di un autocrate “affidabile”, visto che un Erdogan o un Al Sisi non si trovano per strada tutti i giorni.

La questione centrale, ridotta all’osso, è questa: i dittatori, africani e mediorientali, servono a fare le guerre che l’Occidente vuole combattere e possibilmente vincere senza farsi troppo male, magari con qualche utile da segnare in bilancio vendendo armi ai protagonisti e con una presenza militare ridotta, con l’obiettivo principale di tenere lontani il terrorismo e soprattutto i migranti, visto che nel caso del Sahel si parla di almeno due milioni di rifugiati.

Adesso a questi obiettivi con l’amministrazione Biden se ne è aggiunto un altro: quello di mantenere alta la tensione sul fronte della nuova guerra fredda, dall’Est europeo al Mediterraneo. Come accade in Libia dove gli Usa temono un possibile accordo tra Erdogan e Putin.

Idris Deby era uno degli attori principali di questa vasta scacchiera. Negli anni Ottanta si era distinto per avere respinto nel Nord del Ciad le truppe di Gheddafi con la «guerra delle Toyota», quando i ciadiani a bordo dei loro pick up avevano battuto i militari libici appoggiati dai consiglieri sovietici. La retrovia del deserto libico del Fezzan e quella sudanese erano stati poi decisivi per la sua ascesa e la cacciata da N’Djamena nel ‘90 del suo antico mentore, il presidente Hissene Habré.

Fino ad arrivare al 2011 quando si era schierato con la Francia contro Gheddafi per poi oscillare in alleanze prima con le brigate filo-Misurata e poi con quelle che appoggiano il generale della Cirenaica Khalifa Haftar sostenuto anche dalla Francia oltre che da Russia, Egitto ed Emirati. Déby seguiva il ruolino di marcia dei francesi e non per caso, visto che lo tenevano in piedi. E Parigi si preparava probabilmente a manovrarlo anche sul fronte della nuova guerra fredda libica dopo avere partecipato per anni allo sfruttamento di petrolio e uranio del Ciad.

Non sempre il dittatore di turno è presentabile ma le potenze egemoni in una certa area si incaricano di renderlo “digeribile” alle opinioni pubbliche democratiche. Per esempio Idriss Déby era stato ricevuto in pompa magna all’Eliseo a novembre, qualche giorno prima che Macron accogliesse anche il generale Al Sisi appuntandogli sul petto la Legione d’Onore ed escludendo di condizionare la vendita di armi al Cairo alla questione dei diritti umani. Un mantra che anche i governi italiani in questi anni hanno seguito nonostante i casi eclatanti di Giulio Regeni e Patrick Zaki.

 

(foto Ap)

 

Idriss Déby apparteneva da anni all’eletta schiera dei dittatori “amici”. Lo si capisce bene dalle reazioni internazionali, dentro e fuori l’Africa. Peana in sua lode si levano dal Mali, al Niger, al Burkina Faso, dove Déby aveva mandato 1200 uomini a combattere le milizie jihadiste nel G-5 del Sahel che vede impegnate truppe francesi, americane ed europee, Italia compresa, che si prepara a costruire, sulla scia dei francesi e di qualche commessa militare, la sua base militare in Niger nell’ambito della missione Takuba. Rimpianto ovviamente da Parigi – come scriveva ieri Marco Boccitto sul manifesto – visto che era il gendarme della Francia nella regione. «Un amico coraggioso», afferma un comunicato dell’Eliseo più volte intervenuto per salvargli la ghirba da tentativi di golpe e che contava sui suoi uomini per ridurre il contingente francese nel Sahel di cinquemila soldati.

Non sorprende la reazione del premier israeliano Netanyahu che si inserisce nella strategia africana dello stato ebraico: «Non dimenticheremo mai Idriss Déby – ha detto il premier – per la storica decisione di riallacciare con noi le relazioni diplomatiche». Netanyahu era arrivato in Ciad per una storica visita nel gennaio del 2019, proprio quando Al Qaeda nel Maghreb Islamico uccideva 10 soldati ciadiani nella base Onu del Mali in ritorsione per la visita del primo ministro israeliano nel vicino paese musulmano. La presenza israeliana nel Sahel è sempre più intensa e sono i gruppi industriali-militari israeliani a fornire i sistemi di sicurezza e d’intelligence per la “difesa” delle installazioni delle Nazioni unite.

Più sfumati gli americani che si augurano «una transizione in linea con la Costituzione». Washington è stata subito anticipata: la carta costituzionale è stata sostituita in poche ore da uno statuto per “legalizzare” la presa del potere da parte del figlio di Déby, il generale Mahamat e di una giunta militare che promette regolari elezioni in 18 mesi. Come non credergli: visto che le ultime presidenziali in aprile erano state stravinte dal padre Idriss Déby che per non avere sorprese aveva fatto sparire gli oppositori in carcere o in qualche fossa nel deserto. Ma questi sono i dittatori che ci fanno comodo e non si va mai troppo per il sottile.