Qualcuno ricorderà gli anticorpi monoclonali, la terapia in grado di salvare «il 70% dei pazienti di Covid-19» secondo i suoi promotori. Scienziati illustri in Italia e all’estero, ministri, vice-ministri ed ex-ministri si sono spesi affinché una terapia così promettente, e già approvata negli Usa, fosse adottata anche in Italia senza aspettare l’autorizzazione dell’Ema.

Dopo aver opposto qualche resistenza, l’Agenzia Italiana del Farmaco in febbraio aveva dato il suo via libera. Il governo aveva stanziato ben 400 milioni di euro per acquistarne una ricca scorta destinata ai pazienti a rischio. Gli anticorpi, infatti, sono pensati per pazienti positivi con sintomi lievi e con alcuni fattori di rischio (età, obesità, diabete etc) condivisi dalla maggior parte delle vittime quotidiane. Secondo i dati dell’Iss, i potenziali destinatari degli anticorpi dovrebbero essere mille-duemila al giorno. Invece, il primo lotto consegnato (40 mila trattamenti delle aziende Eli Lilly e Regeneron) è rimasto in gran parte inutilizzato.

Come spiega il monitoraggio settimanale dell’Aifa, finora gli anticorpi sono stati usati su 2.000 pazienti in tutto e le prescrizioni giornaliere sono solo un centinaio: pochissime, per una terapia indirizzata a una platea così ampia.

Evidentemente aveva ragione chi, come il direttore dell’Aifa Nicola Magrini, aveva espresso dubbi sull’efficacia di queste cure. I dati preliminari sbandierati dai fautori dei monoclonali, infatti, si sono rivelati poco solidi a un esame più approfondito. Per uno dei tre trattamenti acquistati, la Food and Drug Administration il 16 aprile ne ha revocato l’autorizzazione all’uso in quanto inefficace contro le varianti, come ammette la stessa casa produttrice Eli Lilly. Si tratta del bamlanivimab, lo stesso anticorpo che l’Italia avrebbe dovuto sperimentare già in ottobre 2020, secondo il medico della Emory University di Atlanta Guido Silvestri (il più attivo promotore degli anticorpi) e il presidente dell’Aifa Giorgio Palù, in rotta con Magrini. Nonostante l’ormai acclarata inefficacia, il bamlanivimab è stato somministrato in un terzo dei pazienti trattati con gli anticorpi in Italia.

Oltre alla scarsa efficacia, sui monoclonali pesa anche la difficoltà di somministrazione. Quelli acquistati dall’Italia si assumono via flebo in ospedale e molti medici ritengono che inviare migliaia di pazienti positivi con sintomi lievi (che in buona percentuale se la caveranno comunque) in reparti già oberati rischi di dar vita a nuovi focolai.

Questo non significa che gli anticorpi monoclonali siano inutili. Sono allo studio altri anticorpi, più efficaci di quelli acquistati dall’Italia e che richiedono una semplice iniezione intramuscolare. Farmaci di questo tipo si potrebbero assumere a domicilio senza aumentare il rischio di contagio. Gli esperti più avveduti avevano provato a convincere il governo ad aspettare i naturali tempi della sperimentazione, venendo subissati dall’accusa di disfattismo o, peggio, di remare contro la salute degli italiani. Invece, si è preferito puntare tutto e subito su farmaci di dubbia utilità, alla ricerca di facili consensi che hanno poco a che fare con la salute.