Fossimo in Grecia, la potremmo tranquillamente attribuire ad Alexis Tsipras e a Syriza. Ma la legge sull’acqua pubblica approvata l’altra notte a Palazzo dei Normanni porta la firma del governatore siciliano Rosario Crocetta, si spinge oltre i risvolti umanitari (il minimo di 50 litri garantiti a ogni cittadino, un fondo di sostegno per chi non riesce a pagare le bollette) e si presenta come la prima in Italia ad applicare il referendum del 2011, invertendo un processo di privatizzazioni nei servizi pubblici che data dagli anni ’90. Fatta eccezione per la giunta guidata da Luigi de Magistris a Napoli (che ha ripubblicizzato integralmente l’azienda comunale con una delibera comunale all’avanguardia, grazie all’aiuto dell’allora assessore Alberto Lucarelli e del giurista Ugo Mattei, poi silurato dalla presidenza della neonata azienda Abc, Acqua bene comune), il voto di quattro anni fa era rimasto lettera morta. Ma ora c’è un ulteriore passo in avanti: per la prima volta l’acqua ridiventa «prevalentemente pubblica» per legge.

A Crocetta è riuscita l’impresa di condurre in porto un cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, sfruttando le divisioni interne alle forze politiche e incassando un sostegno trasversale, a partire dai 5 Stelle all’opposizione, forte del fallimento delle privatizzazioni alla siciliana, che non hanno migliorato il servizio né ridotto le bollette ai cittadini, e della spinta di un movimento alimentato da decine di sindaci espropriati della gestione delle risorse idriche e dai comitati che si riconoscono nel Forum dei movimenti per l’acqua.

Per ottenere il via libera definitivo è stato necessario un ultimo compromesso: l’assessore ai Servizi di pubblica utilità, l’ex magistrata renziana Vania Contrafatto, ha preteso l’inserimento della possibilità di avere anche gestioni miste o private, pena l’accusa di incostituzionalità e un probabile conflitto con lo Stato. Ma la partecipazione dei privati è stata imbrigliata da fortissime limitazioni: dovranno offrire servizi a prezzi inferiori a quelli forniti dal pubblico, a «condizioni bloccate per tutta la durata dell’affidamento», che non può superare i nove anni (contro i quaranta, ad esempio, dell’attuale concessione a Siciliacque spa), e con multe salatissime in caso di disservizi, dai 100 ai 300 milioni al giorno (da pagare all’Ato di riferimento), fino alla rescissione del contratto in caso di mancata erogazione per più di quattro giorni in almeno il due per cento del bacino idrico.

Per questi motivi nei giorni scorsi, mentre infuriava la bufera intercettazioni sulla sanità siciliana e si prospettava il rischio di un ritorno anticipato alle urne, il Forum dei movimenti per l’acqua pubblica invitava ad approvare la legge che recepisce diverse loro proposte, dal riconoscimento di un «minimo vitale» di 50 litri al giorno a persona, come stabilisce il Contratto mondiale dell’acqua, alle tariffe scontate del 50 per cento laddove l’acqua non è potabile e non può essere usata neppure per cucinare, a un fondo di sostegno per il pagamento delle bollette delle persone meno abbienti. Saranno gli Ambiti territoriali ottimali (Ato), che rimangono nove e non vengono accorpati come aveva chiesto il plenipotenziario renziano (e grande rivale di Crocetta) Davide Faraone appena tre giorni fa, a decidere, attraverso «procedure di evidenza pubblica», a chi affidare la gestione delle risorse idriche.

Un’altra norma prevede che si valuti «la sussistenza dei presupposti per l’eventuale esercizio del diritto di recesso dalla convenzione con Siciliacque ed in ogni caso avvia le procedure per la revisione della stessa al fine di allinearla ai principi generali dell’ordinamento giuridico statale e comunitario diretti a garantire la possibilità di accesso, secondo criteri di solidarietà, all’acqua in quanto bene pubblico primario». Siciliacque è il cavallo di Troia della transizione dal pubblico al privato in Sicilia: è la concessionaria che nel 2004 è subentrata al vecchio Ente acquedotti siciliano (Eas), interamente di diritto pubblico. Si tratta di una società per azioni (dunque di diritto privato) partecipata al 25 per cento dalla Regione, che all’inizio deteneva solo il 5 per cento ed ha poi rilevato le quote del disciolto Eas. Il rimanente 75 per cento è nelle mani di Idrosicilia spa, composta al 60 per cento dalla multinazionale francese Veolia e dal 40 per cento dall’Enel. A Siciliacque è stato garantito un contratto quarantennale, che scadrà nel 2044, ma ora la nuova legge prevede la possibilità di recedere, pur se già viene agitato lo spauracchio di salate penali da pagare nel caso tutto venga rimesso in discussione. Ma alla Regione Sicilia, che nomina tre consiglieri d’amministrazione su cinque della spa, sono convinti di avere in mano gli strumenti giuridici per garantire una transizione al contrario, dal privato al pubblico. Anche se sono consapevoli che non sarà una passeggiata.