Lunedì 17 febbraio Commissione e Parlamento europeo hanno audito i promotori dell’Ice («Iniziativa dei Cittadini Europei per l’acqua pubblica»). Più di trecento persone in rappresentanza del sindacato europeo dei servizi pubblici e della rete europea per l’acqua e, soprattutto, del milione e 700.000 cittadini europei che hanno sottoscritto l’Ice, hanno “invaso” l’aula del Parlamento, dando anche visivamente l’idea della dimensione continentale del movimento per l’acqua. Il dibattito è stato impegnato e partecipato. Salvo verificare la totale assenza degli europarlamentari del nostro paese.
Un dato ulteriormente aggravato dal fatto che siamo l’unico paese che ha svolto una consultazione referendaria sul tema dell’acqua. A maggior ragione dopo quest’appuntamento, ora la Commissione è investita di una responsabilità assai significativa. Attorno al 20 marzo dovrà pronunciarsi sulle richieste avanzate con l’Ice. Si chiede che Bruxelles inverta il suo orientamento di fondo – anche come parte della troika – a favore delle politiche di privatizzazione dei servizi pubblici, a partire dai paesi sottoposti alle procedure di rientro dal debito pubblico.

Affermare che l’acqua è un diritto umano universale a cui tutti devono avere accesso, impedire la privatizzazione del servizio idrico, escludere lo stesso dai trattati internazionali che si occupano del libero scambio e della concorrenza – questi i punti di fondo contenuti nell’Ice- ha esattamente questo significato.
Non c’è dubbio che la risposta della Commissione assume un rilievo importante anche di per il fatto che è la prima volta che si utilizza lo strumento della raccolta delle firme con l’Ice, modalità imperfetta ma pur sempre quella che più si avvicina a una forma di democrazia partecipativa. Detto in altri termini, siamo di fronte ad un tema che coniuga la questione dei beni comuni con quella della democrazia reale, che si colloca dunque su un terreno avanzato di lotta sociale e politica e che interroga il futuro del modello sociale europeo.

Di questo stiamo parlando, infatti, non solo di un bene comune fondamentale come l’acqua, che può essere assunto come paradigma del loro insieme e anche del tema dei servizi pubblici, ma di uno snodo centrale del modello sociale europeo in stato smantellamento.
La scelta neomercantilista centrata sul traino delle esportazioni della Germania, l’ossessione del debito pubblico dei singoli stati, da cui dipartono le politiche di austerità, il fiscal compact e, da ultimo, il negoziato segreto in corso tra Ue e Usa per arrivare al Trattato Transatlantico sugli Investimenti e il Commercio (Ttip), non solo rilanciano l’impostazione neoliberista che ha provocato la crisi, ma riducono fortemente diritti del lavoro e welfare, rimettendo in campo spinte nazionalistiche e la stessa prospettiva dell’Unione europea.
Vale la pena concentrarsi su quest’ultimo punto, finora rimasto troppo in ombra: è dal 2013 che si svolgono gli incontri per giungere al Ttip, al cui centro c’è l’intenzione, solo apparentemente «astratta», di arrivare ad armonizzare le normative europee e statunitensi in materia di concorrenza e di «libertà» negli scambi commerciali, ma che, in concreto significa intervenire in pressoché tutti i settori economici e dei servizi, compresi quelli pubblici, da quello della sanità allo stesso servizio idrico, per affermare la centralità del mercato e dell’impresa, in particolare di quelle multinazionali, e subordinare alle loro priorità la legislazione e le normative degli stati.
Emblematici, a questo proposito, sono due elementi: questo negoziato si sta svolgendo in assoluta segretezza. Nemmeno l’europarlamento ha accesso ai documenti e agli atti della discussione, consentito solo alle delegazioni trattanti, e quella statunitense è assistita da più di 600 consulenti delle multinazionali. Ancor più, è significativo il fatto che una delle questioni fondamentali in discussione riguarda l’istituzione di una sorte di «tribunale internazionale» che dovrebbe intervenire in caso di contenzioso tra imprese e singoli stati, con il compito di rimuovere gli impedimenti «al libero scambio» che provengono dalla legislazione e dalle normative statuali. Siamo di fronte a un’impostazione che dimostra cosa significa il processo di globalizzazione dei mercati e di deperimento del ruolo degli stati nazionali. Un dispositivo di questa natura consentirebbe a una grande multinazionale del settore idrico di portare in giudizio il nostro paese per limitazione della concorrenza se si desse coerentemente seguito al pronunciamento referendario sull’acqua del giugno 2011, approvando una legge per la gestione pubblica della stessa.

Ora, a fronte di tale situazione, che ripercorre e peggiora il tentativo, a suo tempo bloccato, sviluppato con la direttiva Bolkestein in Europa a metà degli anni 2000, occorre, con maggior forza e determinazione di quanto fatto finora, mettere in campo e in tempi rapidi, una vera e propria campagna europea e nazionale di contrasto al Ttip, costruita da un ampio schieramento – come si fece appunto contro la direttiva Bolkestein – con adeguati momenti di informazione e mobilitazione. Anche da questo punto di vista, l’ICE per l’acqua pubblica, che chiede espressamente che il servizio idrico sia escluso dai trattati internazionali che guardano alla liberalizzazione dei servizi, può costituire una leva per aiutare questo processo.

Infine, nel momento in cui ci avviciniamo alla scadenza elettorale del Parlamento europeo, non si può sfuggire al fatto che quell’appuntamento si rivestirà di una rilevante importanza. Per quanto mi riguarda, non ho dubbi che l’idea di un’Europa alternativa nei contenuti e in grado di provare a contrastare la deriva verso la Grande Coalizione anche in Europa si colloca, dal punto di vista della rappresentanza politica, pienamente nell’alveo tracciato dalla lista Tsipras. Che, peraltro, per poter affermare il proprio progetto, necessita, oltre che dell’impegno anche organizzativo per la raccolta delle firme per la sua presentazione, di almeno altri tre ingredienti: il primo è un messaggio, più chiaro di quello mandato sino ad ora, che dica con forza che questo progetto si basa sulla partecipazione e sul fatto di suscitare energie diffuse, a partire dai territori. Si tratta poi di riuscire a rendere concreto, persino in termini simbolici, il discorso sull'”altra Europa”, passando da enunciazioni di carattere generale alla loro declinazione sui singoli temi, dalle questione del lavoro a quella dei beni comuni, a partire dall’acqua, dall’opposizione al fiscal compact al contrasto al Ttip. Da ultimo, occorre saper parlare e intercettare il disagio sociale che percorre il paese. Anche se stiamo parlando di elezioni europee e che è giusto rimandare all’ indomani di quella scadenza qualsiasi ragionamento di prospettiva sulla ricostruzione di un nuovo campo della sinistra politica nel nostro paese, si tratta di aver presente che, ancor più alla vigilia della nascita del governo Renzi e dopo che la sua ” logica padronale” ha sostanzialmente omologato l’esperienza del Pd a quella di una qualsiasi forza liberaldemocratica, esiste una domanda profonda e la necessità di costruire una speranza di una nuova dimensione della politica, radicale nei contenuti, con un pensiero maggioritario, innovativa nelle sue forme. Di questo progressivamente sarà utile iniziare a parlare, tenendo in giusta considerazione non solo e non tanto la figura di Tsipras, ma ancor più l’esperienza complessa che Syriza sta conducendo in Grecia. Un’esperienza che intreccia in modo nuovo politica e società, che, per dirla a mo’ di slogan, fa della socializzazione della politica e della politicizzazione del sociale la propria cifra fondativa e che, proprio per questo, penso dica molto anche a chi vorrà cimentarsi con una nuova fase nelle vicende della sinistra, adeguata al nuovo secolo che stiamo percorrendo.