La curva delle azioni della multinazionale romana Acea è il vero termometro delle intenzioni politiche sulle privatizzazioni. Nel giugno del 2011 – dopo i referendum sull’acqua – le azioni iniziano una repentina discesa verso i minimi storici. Il management nominato dai soci privati era nel panico, il progetto di allargare a dismisura la gestione dei beni comuni rischiava di saltare definitivamente. La prima reazione fu dura: bloccare tutti gli investimenti, creando una pressione, discreta ma soffocante, per correre ai ripari.
La prima mossa fu la richiesta di un parere legale a un avvocato di eccezione, il figlio del presidente Napolitano, Giulio, che presentò una relazione su come recuperare almeno una parte di quel profitto garantito abrogato dai referendum. La preoccupazione degli investitori d’altra parte era evidente. Nei mesi precedenti il voto dell’articolo 23 bis della legge Ronchi – poi abrogato – che avrebbe obbligato il comune di Roma a cedere buona parte di quel pacchetto del 51% delle azioni ancora in mano pubblica, aveva risvegliato l’interesse dei grandi gruppi finanziari. Con Caltagirone in prima fila. Erano gli anni della gestione Alemanno, il sindaco che aveva in tasca il progetto di cessione di quel poco di sovranità sui servizi pubblici ai suoi grandi elettori. Poi, per i soci privati del colosso dell’acqua, primo operatore del settore idrico in Italia, iniziarono mesi difficili. Con il cambio della guardia al comune di Roma.

Oggi – a tre anni dal voto popolare del giugno 2011 – Acea torna a scalare le vette della Borsa di Milano, con un nuovo record storico. La curva delle azioni ha ripreso a salire spinta da due asset: l’arrivo di Matteo Renzi e la discussione sui conti romani, appesi al decreto che dovrebbe salvare il sindaco Marino dal crack. Qualcosa si muove per gli ideologi della gestione privata a tutti i costi, partiti alla riconquista delle posizioni perdute. Partendo proprio da Roma. Ovvero dalla madre di tutte le privatizzazioni.

La porta d’ingresso oggi si chiama bilancio comunale, e il suggerimento-diktat per Ignazio Marino è arrivato puntuale dal giornale romano il Messaggero, controllato da Francesco Gaetano Caltagirone, il principale socio della holding romana, con in mano il 16% delle quote. «Vendere il 21% delle azioni di Acea» è la soluzione per sanare i conti, spiegava ieri il quotidiano, dedicando ampio spazio alle dimissioni dell’assessora capitolina al bilancio Daniela Morgante. Nei mesi scorsi Marino aveva provato a imporre il suo peso di principale azionista ad Acea, scontrandosi con un muro. E l’impressione è che Renzi non stia proprio dalla sua parte. L’ex sindaco Acea la conosce bene: da anni Firenze è il socio di riferimento di Publiacque, il gestore degli acquedotti di buona parte della Toscana e l’attuale presidente Erasmo D’Angelis – vicinissimo al premier – è un fervido sostenitore della presenza dei privati nella gestione del sistema idrico integrato. Una tempesta perfetta, preannunciata da un emendamento – poi caduto – di Linda Lanzillotta (assessora all’epoca Rutelli, quando il Campidoglio firmò la prima privatizzazione alla fine degli anni ’90) che tentava di imporre la cessione delle quote di Acea sul mercato.

Poche ore dopo la moral suasion del Messaggero, sono arrivate le parole del presidente della holding romana Giancarlo Cremonesi, uomo del cerchio magico di Caltagirone: «Io temo che una partecipazione pubblica importante nelle società erogatrici dei servizi pubblici locali – ha commentato durante un incontro alla Camera di commercio – faccia diminuire il grado di attenzione e di verifica sulla qualità dei servizi: è come se il concedente verificasse se stesso. Quanta voglia ha il concedente di decidere se la società in questione dev’essere sanzionata o meno?». Parole che anticipano quale sarà la strategia del gruppo Caltagirone nei prossimi giorni, che si annunciano di fuoco. Il 5 giugno l’assemblea dei soci si dovrà confrontare con la posizione di Marino, che nei mesi scorsi aveva chiesto un ricambio deciso del management.

Mentre si prepara lo scontro sulla natura sociale del gruppo – all’indomani dell’approvazione della legge della regione Lazio, ispirata da principi molto vicini ai referendum – la gestione non sembra aver cambiato corso. Ieri si è tenuta davanti alla sede Acea di via Ostiense una manifestazione di protesta dell’Usb per il licenziamento di due lavoratori «che nel 2010 avevano denunciato smaltimenti illeciti e irregolarità di gestione nell’impianto di depurazione di Roma Nord», spiega Oscar Tortosa, consigliere regionale. Pessime notizie anche sul fronte delle bollette, dopo l’approvazione da parte dell’autorità per l’energia e l’acqua delle nuove tariffe, con aumenti retroattivi.
Su questo fronte la gestione mista pubblico-privata ha un segno di riconoscimento ben visibile: chi non riuscirà a pagare non avrà più accesso all’acqua potabile, senza nessuna tutela. La revisione del regolamento di utenza avviato più di un anno fa dai sindaci è per ora rimasto lettera morta, mentre nella capitale sono centinaia le famiglie con i contatori sigillati. Una politica – questa – ritenuta chiave per garantire i gruppi finanziari privati e gli investitori. Presenti e futuri.