Di fatto è un passaggio politico che avviene ogni anno. Ma quanto accaduto ieri in Basilicata è l’ennesimo caso politico nella regione dell’oro nero italiano che scoppia in seno al Pd.

All’origine vi è il rinnovo della carica di presidente del consiglio regionale, che da due anni era ricoperta da Pino Lacorazza, consigliere regionale del Pd, primo degli eletti con oltre 11mila voti, ed anti-renziano. Il primo problema è che ad essere eletto è Francesco Mollica di Area Popolare (Ncd-Ucd). Scelta che in pratica cambia la configurazione della maggioranza del consiglio regionale della Basilicata, con l’apertura ad un partito che è all’interno della maggioranza del governo Renzi. Non è un caso se il senatore del gruppo di Area popolare Ncd-Udc, Guido Viceconte ha gioco facile nel dichiarare che «l’elezione di Franco Mollica a presidente del Consiglio regionale è il frutto del primo organico accordo tra Pd ed Area popolare».

Una scelta voluta dal governatore lucano Marcello Pittella (Pd), che nel suo discorso in consiglio regionale l’ha definita utile «per irrobustire, con l’allargamento della maggioranza, il lavoro in Consiglio regionale, per questa Regione e per creare l’opportunità e il presupposto perché si rafforzi una collaborazione politico-istituzionale». Lo stesso Pittella ha fatto un chiaro riferimento a quanto avviene a Roma, sottolineando che «le dinamiche nazionali ci consegnano esattamente questo spaccato: sta alla politica trovare a superare le diversità, a provare a fare azioni di equilibrio e di avvicinamento anche di posizioni che oggi inevitabilmente appaiono distanti». Un ampliamento che per Pittella «non è un sigillo, ma una strada che si sperimenta. C’è un percorso che – ha concluso – si avvia in questo nostro Paese, ci sono scadenze importanti alle quali siamo chiamati a dare la nostra partecipazione”, chiaro riferimento al referendum costituzionale del prossimo ottobre.
Sin qui, dunque, sembrerebbe un’operazione politica che ripercorre le scelte del premier Renzi nella costruzione del Partito-Nazione. La realtà, però, non è così lineare. Ad attaccare per primo è il leader della minoranza Pd Roberto Speranza, che definisce la non rielezione di Lacorazza «il primo atto di epurazone della moratoria di Renzi per mano del renzianissimo Pittella».

«Lacorazza è stato protagonista della campagna referendaria sulle trivelle. Ora una scelta sconsiderata e priva di legittimazione formale si è deciso di epurarlo rompendo l’unità del Pd», aggiunge Speranza. Parole alle quali è seguita la remissione del mandato di capogruppo dei Dem nell’assemblea lucana, da parte di Roberto Cifarelli.
Come detto, Piero Lacorazza non è uno qualunque. Dopo aver perso le primarie proprio contro Pittella, è stato presidente del consiglio regionale dal gennaio 2014, e il coordinatore del comitato dei dieci Consigli regionali che hanno redatto i quesiti referendari sulle trivelle. Durante i due anni di presidenza di Lacorazza, è stato varato il nuovo statuto della Regione e ridotto il costo della politica. Dunque, la scelta di non rieleggerlo non può essere letta, secondo lo stesso Lacorazza, «come una bocciatura del mio operato politico, visto che nessuno in Regione e nel partito si è espresso in tal senso». Né appare poggiare su solide basi la teoria della necessità dell’allargamento della coalizione in consiglio ventilata da Pittella, «in quanto il Pd gode di una solida maggioranza con 13 consiglieri su 21» sottolinea Lacorazza. Decisione, quella dell’allargamento, «che non è stata discussa all’interno del partito, in quanto il Pd lucano non ha un segretario: questa scelta andava decisa in un’assemblea che non c’è mai stata».

Ecco perché il consigliere lucano non ha dubbi nel definire quanto accaduto un «atto di killeraggio politico per la mia posizione pro-referendum. Prima delle votazioni avevo proposto di rimettere il mandato, ma mi fu detto che non fosse necessario: allorché io li avvisai: ‘guardate che se avviene dopo è un fatto grave’. E così è avvenuto».
Una ritorsione politica, dunque, in piena regola secondo la minoranza Pd lucana e romana. Che però non scalfisce la posizione di Lacorazza che resterà nel Pd «perché devo mantenere fede al patto con i miei elettori, ma soprattutto per i 3 milioni di elettori del Pd che hanno votato sì al referendum, dimostrando che si può stare all’interno del Pd portando avanti le proprie battaglie anche se si fa parte di una minoranza e si è in disaccordo con Renzi».