All’Accademia di Belle Arti di Napoli sono iniziate le sessioni d’esame, uno dei docenti non ci sarà: la procura lo ha iscritto nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di violenza sessuale. La presunta vittima sarebbe una sua allieva ventenne, trent’anni più giovane. Tre colleghe della ragazza sono state sentite ieri in procura. A far emergere la vicenda è stato il collettivo di Non una di meno: la ragazza, con la consulta studentesca, si era rivolta a ottobre alla direzione dell’Accademia, il professore aveva avuto un ammonimento verbale.

Una misura molto timida rispetto al clima nelle aule. Il docente ha dato le dimissioni martedì scorso con l’intento di «fare chiarezza prima possibile» perché, sostiene, si sarebbe trattato di una relazione consensuale. Il direttore dell’Accademia, Giuseppe Gaeta, ha annunciato l’avvio uno sportello di ascolto in collaborazione con la consulta studentesca.

Le allieve hanno pubblicato ieri una lettera aperta per raccontare la quotidianità a cui sono state costrette: «Diversamente da quanto si sta narrando, l’abuso di potere da parte del docente in questione non ha colpito solo una collega. Siamo state in tantissime, purtroppo, a essere state colpite dalla politica di terrore, dalla violenza e dal non poterci sottrarre anche solo a un complimento non gradito, messaggi su chat mai richiesti. Siamo in tante quelle che durante i test di ammissione siamo state rintracciate, quando ancora non iscritte al corso e ignare del risultato della prova, dal docente che aveva già deciso cosa farne dei nominativi delle candidate che volevano accedere ai corsi scelti».

Quello che raccontano è un meccanismo esibito che non può essere sfuggito agli altri professori: «Siamo in tante quelle che nella prova orale avremmo dovuto sostenere l’esame con un altro docente e ci siamo ritrovate, per sua richiesta, a sederci dinanzi a lui. Ci chiediamo come questo docente, prima ancora che avesse i nostri indirizzi elettronici, avesse i nostri nominativi da usare per la ricerca su social network. Per quelle che avevano deciso di mandarlo a quel paese via chat è iniziato un calvario, per alcune durato anni. Situazioni che, in più casi, erano giunte a chi avrebbe dovuto tutelarci nello spazio accademico». Illuminante la storia che racconta una studentessa: «Tutto è iniziato ai test d’ingresso: mi disse che dovevo fare la prova con lui nonostante fosse già occupato.

La sera mi contattò su Facebook, mi invitò a vedere un film ma io non accettai. Alla fine non gli risposi più». Risultato: al primo esame ha dovuto subire una serie di bocciature a catena per avere alla fine solo 18. Con il secondo esame le bocciature sono ricominciate. Quando ha chiesto spiegazioni, la risposta è stata: «Se avessi accettato il mio invito sarebbe stato tutto più semplice». Per mettere fine alla tortura si è dovuta presenta con il fidanzato.

È stata Non una di meno a sollevare il caso: «A fare notizia è la gogna mediatica a cui è sottoposto il docente. Questa persona vorrebbe ridurre tutto a un episodio, presentandosi come parte lesa, tentando di isolare chi ha avuto il coraggio di ribellarsi. Siamo partite dal visibilizzare la violenza negli spazi della formazione per nominare le molestie, le avance, gli abusi che hanno visto coinvolte numerose donne». E ancora: «Imbarazzanti le dichiarazioni di responsabili e soggetti che avrebbero potuto fare qualcosa per il ruolo ricoperto. Diverse sono state le ragazze che hanno provato a denunciare non ottenendo supporto: il docente non è stato allontanato, nessuna misura di tutela è stata presa, nessun codice etico promulgato. Solo l’invito a cambiare corso o suggerimenti su come comportarsi».