L’accordo che il 3 dicembre ha, almeno per ora, chiuso la vertenza delle acciaierie di Terni è stato approvato a larghissima maggioranza dai lavoratori Tk Ast tramite referendum nei giorni 15-17 dicembre. Una pratica inedita per le acciaierie ternane, dove i sì all’accordo hanno prevalso con l’80% dei consensi tra i lavoratori Tk Ast e con il 76% tra quelli dell’indotto. I sindacati, tutti, esprimono grande soddisfazione per l’esito della consultazione. Eppure, se in Ast l’affluenza al voto è stata piuttosto elevata – ha votato l’81,4% degli aventi diritto – tra i lavoratori dell’indotto i votanti sono stati meno del 15%. Complice una clausola che voleva il loro voto non vincolante ma forse anche la sensazione di aver solo rimandato i problemi a un futuro non troppo distante.

Sul destino delle cosiddette ditte terze l’accordo tra governo, azienda e sindacati dice poco o nulla, e quello che dice non è rassicurante. Appalti prorogati fino al settembre 2015, dopodiché si vedrà. Il rischio è il profilarsi di una massiccia ristrutturazione con annessa cassa integrazione, anche in deroga, come specificato nel testo. Del resto, se in tempi difficili come questi gli operai che si sono licenziati accettando la buonuscita offerta dalla Thyssen Krupp di 80.000 euro lordi sono stati ben più degli esuberi richiesti, qualcosa vorrà pur dire.

Gli «strumenti previsti per favorire gli investimenti e la salvaguardia dell’occupazione» a cui si fa riferimento nell’accordo non si capisce bene quali siano. Probabilmente si tratta del fondo per le aree di crisi complessa, approvato dal Consiglio Regionale umbro ma non ancora dal governo.

Quello che più lascia l’amaro in bocca, a fronte di 44 giorni di sciopero, sono però le somiglianze con il testo governativo proposto all’inizio della vertenza, all’epoca rigettato dai sindacati (Lodo Guidi). A cominciare dagli esuberi chiesti dalla Thyssen: 290. Un numero che per la prima volta compare proprio nel testo inizialmente respinto. La rete commerciale dello stabilimento ternano sarà gestita in Germania. A Terni resteranno solo l’amministrazione, il pre e il post vendita. La ricerca dei clienti – ovvero il cuore della faccenda – resterà lontana dall’Italia e la cosa non lascia presagire nulla di buono sul futuro produttivo del sito che al momento, a causa del copioso esubero volontario di operai, si trova con un organico sottodimensionato. Se non si procederà a nuove assunzioni – cosa che è proibito persino sperare – potrebbe risultare complicato anche assicurare il milione di tonnellate annue di acciaio colato previste. Un fattore di rischio che significherebbe il progressivo smantellamento e che fa il paio con la nebulosa situazione degli investimenti, dove i numeri sono sostanzialmente quelli del «Lodo Guidi», all’epoca giudicati insufficienti dai sindacati, senza il minimo accenno a una questione ambientale che coinvolge appieno le acciaierie umbre e che si fa ogni giorno più grave.
Terni è classificata dal Ministero della Salute come Sin (sito di interesse nazionale da bonificare ) e lo studio Sentieri, condotto dall’Istituto Superiore di Sanità, riscontra un eccesso di ricoveri per tutti i tumori maligni, per quelli polmonari, del rene e delle vie urinarie, per linfomi non-Hodgkin e per malattie respiratorie acute.

Nella città dell’acciaio speciale si registra il macabro primato della produzione di cromo in Italia, con livelli altissimi di concentrazione – 10 volte più alti di Bologna e 60 volte superiori a quelli della Laguna veneta – che nel giugno 2014 hanno toccato la soglia record dei 2939,7 nanogrammi per metro quadrato: circa 600 volte oltre la soglia di attenzione.

La discarica Tk Ast, dove giacciono milioni di tonnellate di residuato di scorie d’acciaio, è addirittura all’origine della contaminazione delle falde sottostanti, con sversamenti anche nel fiume Nera. Per questa discarica l’Arpa ha recentemente suggerito una revisione dell’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) rilasciata nel 2010. Ma di passare a un «regime di recupero e riutilizzo nella gestione delle scorie d’acciaieria», come previsto proprio dalla vecchia Aia, al momento non se ne parla e a Terni le scorie d’acciaio continuano a contaminare aria, suolo e acqua, anche grazie alla mancanza degli investimenti ambientali che potrebbero trasformarle come succede negli stabilimenti Thyssen in Germania.