Ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu è volato urgentemente a Mosca per affrontare con Vladimir Putin la questione dell’«Accordo del secolo» che dovrebbe portare alla pax israeliana in Palestina.

La decisione del leader israeliano di recarsi al Cremlino è giunta dopo i segnali giunti negli ultimi giorni da parte della leadership russa di voler garantire il semaforo verde al proseguimento dell’iniziativa. Iniziativa che a Mosca per tre lunghi anni era sempre stata giudicata un diktat inaccettabile.

Con una sterzata di 180 gradi il governo russo ha messo da parte tutte «le preoccupazioni per un esito che potrebbe far saltare in aria la regione, soprattutto visto che gli Stati uniti stanno facendo tutto unilateralmente», espresse non più di qualche settimana fa, per aprire moderatamente ma significativamente al piano di Donald Trump.

«Signor Presidente, lei è il primo leader mondiale che incontro, dopo aver visitato Washington e aver annunciato “il piano Trump”. Penso che oggi abbiamo un’altra occasione per parlare, vorrei sentire la sua opinione, vedere come possiamo raccogliere le forze per la pace e un’esistenza tranquilla», ha dichiarato Netanyahu incontrando Putin.

Non solo un gesto di cortesia quello del leader israeliano ma una vera apertura di credito: se Mosca lascerà al loro destino i palestinesi, potrà avere un ruolo anche in quella fascia di Medio Oriente. Il presidente russo non si è lasciato sfuggir parola ma ha chiaramente inteso i vantaggi che potrebbero venire al suo paese se non ostacolerà the Deal of the Century.

Per mezzo della guerra in Siria la Russia è tornata ad avere un ruolo nel mondo arabo e in Asia centrale, che era diventato negli anni Novanta puramente nominale. E «la possibilità di stare dentro al “grande gioco” piace a Putin anche se sa che dovrà giocare alle condizioni di Netanyahu», ha commentato ironico Kommersant.

I palestinesi, la Siria e la stessa Turchia non prenderanno bene il tradimento di Putin, il quale però da tattico consumato ha colto le profonde divisioni nel mondo arabo su questa questione. A nessuno è sfuggito che alla presentazione dell’«accordo» alla Casa bianca erano presenti gli ambasciatori di Bahrain, Emirati arabi uniti e Oman.

Ma sullo sfondo si agita anche dell’altro. In primo luogo il prendere corpo di quel «G5» formato dai paesi vincitori della Seconda guerra mondiale fortemente voluto da Putin per affrontare le crisi internazionali che senza gli Stati uniti non potrà mai vedere la luce.

Inoltre Tel Aviv, in cambio di un atteggiamento benevolo della Russia sull’accordo prospettato da Washington, sarebbe disposta a investire capitali freschi in zone economiche speciali dell’Unione Eurosiatica: affari da miliardi di dollari per rinsanguare l’anemico mondo finanziario russo.