Professor Berta, massimo esperto di questioni ex Fiat, ieri sera Elkann ha confermato prestito per Fca e dividendo per la fusione con Psa. Un po’ sfacciato, no?
Non sono sorpreso. Sono meno sicuro che non ci sarà alcuna revisione negli accordi societari: la situazione economica è in rapida trasformazione e questo non potrà che riflettersi anche sui valori e modalità dell’operazione della fusione. Mi aspetto piuttosto che ci sarà qualche cambiamento. Come sembra dai rumors francesi. È indicativa la vicenda di Partner Re, sulla quale i francesi volevano un forte sconto. John Elkann è ben determinato a difendere il cospicuo dividendo straordinario. E lo capisco: sono 5,5 miliardi.

Giuseppe Berta

È stato sorpreso dalla richiesta di prestito di Fca al governo italiano? Ora c’è chi sostiene che avessero bussato prima a Trump ricevendo diniego.
Ero stato messo in allerta dall’Economist – che, a proposito delle polemiche giornalistiche nostrane, ha come editore la stessa famiglia Agnelli e non si fa problemi a scriverne – che a fine aprile dava Fca come produttore con più problemi di liquidità in Europa. Che lo abbiano chiesto prima negli Usa mi sembra strano: là c’è una battaglia incredibile per resistere agli aiuti pubblici con Ford in testa, esattamente come nel 2009 con Obama. E sanno benissimo che fra pochi mesi Fca non ci sarà più perché ci sarà la fusione con Psa.

Le polemiche sulla sede e le tasse, incredibilmente portate avanti anche da un ex ministro come Calenda che in 2 anni non ha nemmeno convocato Fca, hanno però ragion d’essere.
Il punto è che se Fca rimettesse la sede in Italia, lo farebbe per soli sei mesi perché poi nascerebbe una nuova società dalla fusione con Psa ancora meno italiana.

Questo è il punto che lei mette più in evidenza: guardare al futuro e considerare cosa succederà. Lei pensa che i tempi e i modi della fusione con Pegeout saranno rispettati?
Di certo se l’accordo cambia, proprio per i problemi di liquidità di Fca, non potrà cambiare in meglio per gli Agnelli e per l’Italia. Gli aggiustamenti in corso d’opera ci sono già stati: la famiglia Peugeot ha sfruttato il calo dei titoli per la pandemia rastrellando azioni e diventando più forte nel capitale di Psa. In questo senso la cosa che mi sorprende maggiormente è il silenzio del governo italiano che non considera questo rischio. Io non so se lo debba fare Conte o se lo debba fare Gualtieri, ma qualcuno doveva da tempo aver chiamato i francesi per salvaguardare l’occupazione in Italia in vista della fusione post pandemia. Si tratta della più grande fusione societaria in Europa e anche la Merkel è preoccupata per Opel e auspica l’integrazione dell’industria europea.

Gualtieri si difende dicendo di aver ancorato il prestito alla conferma degli investimenti previsti da Fca.
Questo va bene ma con la fusione con Psa a rischiare sono i marchi Alfa e Maserati e quindi gli stabilimenti di Cassino, Pomigliano e Grugliasco. Quanto a Mirafiori, la 500 elettrica rischia di essere travolta dalla pandemia: il cambiamento tecnologico verso l’elettrico sarà mantenuto? Mancano le infrastrutture per le ricariche: servirebbe un piano pubblico, ancor meglio europeo.

Proprio per questo in molti – a partire dalla Fiom – chiedono di sfruttare la richiesta di prestito di Fca per imporre allo stato di entrare nel capitale del nuovo soggetto post-fusione con Psa, sul modello tedesco.
Faccio fatica a crederci. Sarebbe bello, ma mi sembra molto difficile che gli Agnelli accettino. Lo stato francese è ben presente nel capitale di Psa, è quello che ha mandato a monte la fusione Fca-Renault e ha optato per Peugeot. Dai noi invece c’è totale disinteresse. I giochi si stanno decidendo ora – a partire dalla sede fiscale che con la Brexit non potrà essere a Londra – una volta che saranno stati fatti, intervenire sarà quasi impossibile.

Non pensa neanche che sia possibile un intervento legislativo del parlamento mettendo Fca nel pacchetto delle inevitabili ricapitalizzazioni pubbliche con Alitalia e ex Ilva?
I tempi della richiesta del prestito sono troppo stretti per un intervento legislativo di questo genere. Io penso che Gualtieri abbia avallato il prestito già da settimane e la strada sia già tracciata.

La morale sembra essere: l’Italia perde anche il treno della pandemia per rimodellare il suo capitalismo?
Il pendolo dell’economia si è completamente ribaltato nel giro di pochi mesi. L’impressione che il trionfo dell’impresa e del mercato stesse finendo lo avevo, ma mai avrei pensato che un ultraliberista come Trump avrebbe messo un triliardo nell’economia. È successo tante volte nella storia ma la vera anomalia è che questa volta l’intervento pubblico in economia viene portato avanti da chi non lo ha mai appoggiato: New Deal e Welfare State furono fatti da partiti progressisti in America e socialisti in Europa. Qua ci sono i trumpiani. Serve una grande riflessione in Italia su cosa significhi il ritorno dello stato: è una grande opportunità ma senza una politica industriale rischia di finire male. Non ci sono manager all’altezza e anche cooptarli fra i privati porta con sé il rischio che portino avanti i loro interessi e non quelli generali.