Salari «cinesi» per gli adulti, scuole separate per i minori e alloggi su misura ma delle famiglie tedesche. La Wilkommenkultur della cancelliera Angela Merkel comincia a somigliare un po’ troppo all’apartheid. E l’emergenza profughi in Germania a mostrare il lato B della mitologica «politica di benvenuto» che collima sempre meno con la propaganda ufficiale.

Di fatto l’imperativo categorico nella Bundesrepublik invasa da 1,5 milioni di rifugiati è uno solo: accogliere senza integrare. Nella realtà, la porta aperta del governo tedesco è quella della «segregazione» a beneficio della pace sociale, dell’economia nazionale e della campagna elettorale nei tre Land dove si vota il 13 marzo. Rientra tra le «esenzioni» previste per i migranti e nelle misure di «integrazione» della nuova forza-lavoro nel sistema produttivo. E’ l’abolizione per i primi sei mesi di occupazione del salario minimo (8,5 euro all’ora) introdotto nel 2015, l’eccezione «etnica» alla legge che fissa la paga-base in Germania. La «flessibilità» dello stipendio per i profughi è allo studio dei vertici Cdu pronti a piegare l’emergenza rifugiati ai bisogni dell’industria tedesca che insegue il buon mercato anzitutto delle braccia.

Da qui il Job act per richiedenti asilo; schiavitù a tempo determinato in attesa di superare tutti gli altri esami del pacchetto di ammissione disegnato dalla Cdu. Dalla «buona conoscenza della lingua» (requisito ora non indispensabile) alle profonde nozioni su «ordinamento giuridico» e sistema federale; dalla garanzia di impiego e sostentamento fino alla fedina penale che non ammette macchie nel Paese di origine come in Germania. Un muro invalicabile eretto davanti al diritto all’asilo, che sopravvive solo formalmente, e una boccata d’ossigeno per il partito della cancelliera Merkel sempre più pressata dai populisti anche dentro l’Unione. Nella Cdu, tra mal di pancia e dissidenze, la linea ufficiale resta sempre quella dettata dal capo del governo, ma le istruzioni di Mutti in chiave locale si interpretano alla bisogna.

A Berlino risulta emblematico il caso del senatore Mario Czaja, delegato all’immigrazione del Land, accusato (oltre alla pessima gestione dell’Ufficio sociale) di assegnare gli Asylheim lontano dal suo quartiere. Dei 60 centri-profughi previsti nella capitale solo due verranno costruiti a Hellersdorf, collegio elettorale del politico Cdu. «Così Czaja evita i problemi con chi lo ha votato» riassume Regina Kittler deputata della Linke che svela la distribuzione «ragionata» degli alloggi destinati ai rifugiati. Nella lista di Berlino restano esclusi i rioni-bene di Mitte e Schöneberg mentre i consiglieri Cdu di Spandau hanno già alzato le barricate per «difendere i residenti dal sovraccarico dei centri di accoglienza». Sempre a Berlino-Ovest si sperimenta la separazione didattica dei migranti con la creazione di «classi di benvenuto» nelle scuole. Le ultime in via di allestimento serviranno a circa 600 bambini che vivono negli hangar dell’ex aeroporto di Tempelhof: «una soluzione transitoria che permetterà a 350 minori finora esclusi di frequentare le lezioni» è la buona notizia dell’amministrazione locale, anche se le classi «speciali» sono già più di 80 e secondo i volontari dell’associazione Schöneberg Hilft «non favoriscono l’integrazione bensì l’esatto contrario».

Ma in Germania l’ago della bussola per la navigazione (a vista) dell’emergenza profughi resta calamitato sulle urne. Fra meno di un mese si vota in Renania-Palatinato, Baden-Württemberg e Sassonia-Anhalt; il 4 settembre tocca al Mecleburgo-Pomerania mentre il 18 si rinnova il Senato nel Land di Berlino. A livello federale preoccupa l’inarrestabile calo nei sondaggi della Grande coalizione: il rilevamento dell’Institut für neue soziale Antworten (Insa) datato 15 febbraio fotografa l’Unione guidata da Merkel crollata a quota 32,5% e l’Spd del vice-cancelliere Sigmar Gabriel sprofondato al 22,5% dei consensi. Un trend da incubo per alleanza di governo che sente il fiato dell’opposizione non solo parlamentare. Dentro al Bundestag guadagnano Verdi (dall’8,4% del 2013 all’11) e Linke (dall’8,6% al 9,5) mentre fuori cresce esponenzialmente il peso dei nazionalisti di Alternative für Deutschland (12,5%) e dei liberali di Fdp, due punti percentuali sopra la soglia di sbarramento del 5%.