Giunto in Cina, ricevuto in pompa magna dalla impeccabile organizzazione cinese, Donald Trump ha notevolmente abbassato i toni su tutte le questioni in sospeso tra Washington e Pechino. Tanto che, se dovessimo immaginare l’incontro con Xi Jinping come un match di boxe, la sensazione è che Pechino abbia vinto ai punti.

Non a caso il leader cinese ha definito l’esito dell’incontro uno «storico nuovo inizio» a sottolineare un suo successo diplomatico, seppure parziale. Lo scopo della Cina prima del viaggio di Trump in Asia, tanto sulla Corea del Nord, quanto sulle tensioni commerciali con gli Usa, è parso quello di voler prendere tempo: le parole di Trump sulla questione legata al nucleare di Pyongyang e sulla «imbarazzante» – come la definì lo stesso Trump – condizione della bilancia commerciale Usa Cina, sembrano evidenziare un fatto: Washington in questo momento è costretta ad accettare che a condurre il gioco sia Pechino, forte della sua nuova immagine internazionale.

L’accoglienza di Xi a Trump, definita dalla stampa cinese degna di una «visita di stato extra», è stata apprezzata e sottolineata da The Donald ma ha anche significato una manifestazione di forza millenaria – potente e astuta – da parte di Pechino. La giornata trascorsa alla Città Proibita, tra cene e opera di Pechino (con tanto di video della nipote di Trump Arabella Kushner impegnata a parlare cinese e già diventata da tempo un «meme» in Cina) hanno funzionato: Trump è apparso stordito da tante attenzioni finendo per esaltare il numero uno cinese in modo iperbolico. «Un uomo speciale», con cui si sarebbe creata una «grande alchimia»: così Trump ha inaugurato il suo dialogo con Xi , conclusosi con il discorso nella Grande sala del popolo.

Non che ci si aspettasse granché, ma questo tanto atteso meeting è sembrato molto più scenografico che reale dal punto di vista di accordi e soprattutto di soluzioni.

Sulla Corea del Nord – tema caldo in agenda – non si possono considerare i toni più concilianti di Trump come un vero passo in avanti. Trump ha ribadito la necessità di arrivare a un negoziato, ma poco prima di partire dal Giappone aveva espresso nuove minacce. La percezione che si siano riaperti canali tra Pechino e Pyongyang sembra poter fare sperare per il meglio, ma Trump ha avvisato: «bisogna fare in fretta».

E oggi in Vietnam per l’inizio dei lavori dell’Apec incontrerà anche Putin; probabile che si faccia un punto finale del viaggio e delle conseguenze per la crisi coreana: al ritorno negli Usa di Trump forse sarà lecito attendersi qualche novità al riguardo, benché le posizioni rimangano molto distanti.

La Cina non è intenzionata a portare Kim a un tavolo senza garanzie americana sulla propria presenza militare in Corea del Sud. Washington sembra chiedere, invece, prima un «sì» di Kim a dialogare e poi eventualmente procedere per trovare un difficile compromesso.

Poi è stato affrontato il tema della bilancia commerciale tra i due paesi, attraverso un gioco delle parti spassoso per analisti e storici ma poco significativo nella pratica.

Il cruccio di Trump, fin dalla campagna elettorale, è il fatto che gli Usa importano dalla Cina molto più di quanto vi esportano. Questo dato a Washington viene letto come il risultato di politiche volute dalla Cina attraverso l’uso di moneta, incentivi statali e basso costo del lavoro. Dopo gli strali però, in Cina Trump ha rigirato la frittata: la colpa di questo, ha raccontato, non è affatto di Pechino bensì di Obama, troppo leggero nel difendere gli interessi «del popolo americano».

Xi Jinping non aspettava assist migliore per sostenere le ragioni cinesi e tornare a decantare l’ascesa pacifica della Cina. Non a caso ieri sono stati comunicati accordi e investimenti per 250 miliardi di dollari. Ma a parte i 9 effettivi di accordi immediati, il resto è sospeso nel tempo e nell’evolvere delle relazioni tra i due paesi. Xi Jinping, che appare sornione ma ha le mosse del cobra, ha detto che Usa e Cina devono partire da questi accordi per «formulare e lanciare un piano per la prossima fase delle relazioni economiche bilaterali».

I due paesi devono portare avanti «discussioni approfondite sui fronti degli squilibri commerciali, le restrizioni all’export, l’ambiente per gli investimenti, l’apertura di mercato e altre questioni». La Cina, ha aggiunto Xi, è aperta alla cooperazione pratica con gli Stati Uniti nei campi «dell’energia, delle infrastrutture e nel contesto del progetto di Nuova via della Seta». Quest’ultimo riferimento non sarà sfuggito ai più: per la Cina gli Usa sono ormai un interlocutore come tanti altri, al di là dell’accoglienza di facciata riservata al presidente americano: Pechino è lanciata sulla Nuova via della Seta. Con o senza «l’amico» Trump.