È stata una giornata davvero particolare per l’intera provincia livornese. Giocata sull’asse che dal capoluogo passa per Piombino e arriva a Roma. E vissuta fra la buona notizia dell’ok del comitato di sorveglianza del Mise all’offerta del gruppo algerino Cevital per le Acciaierie ex Lucchini. Poi le contestazioni al presidente toscano Enrico Rossi, mentre interveniva dal palco dello sciopero indetto dai sindacati confederali labronici. Infine la lunga attesa per l’incontro al ministero dello sviluppo economico sul caso Trw, la fabbrica che la multinazionale della componentistica auto vuole chiudere a gennaio. Mandando a casa i 500 addetti dello stabilimento livornese.

In primo piano le Acciaierie piombinesi. Non soltanto perché dal gigantesco complesso siderurgico traggono lavoro e stipendio 2.200 addetti diretti, altri 1.500 dell’indotto, e a cascata l’intera economia della Val di Cornia. Anche perché la confindustriale Federacciai si è opposta, con le parole e con i fatti, all’arrivo di Cevital. Considerandola un pericoloso concorrente nel settore della produzione di acciaio da forno elettrico, dalla lamiera ai tondini per il cemento armato.

A far pendere la bilancia della commissione ministeriale dalla parte degli algerini sono state la «condizioni più vantaggiose di quelle del concorrente». Cioè dell’indiana Jsw di Sajjan Jindal, che a settembre era stato ricevuto con tutti gli onori da Rossi e dallo stesso Matteo Renzi. Ma l’offerta asiatica per i soli laminatoi, pur gradita a Federacciai, avrebbe cancellato non meno di 1.500 addetti, e di fatto l’intero indotto. Invece Issad Rebrab di Cevital (15mila dipendenti, fatturato di 2,5 miliardi di euro), incontrando Rossi a ottobre ha messo sul piatto 400 milioni, due nuovi forni elettrici e un quarto laminatoio. Con l’obiettivo di reimpiegare nel tempo (quasi) tutti i lavoratori delle Acciaierie, con progetti anche per la logistica retro-portuale e per il settore agro-alimentare. Tutto validato dalla commissione e dal commissario Piero Nardi.

Ora la parola finale spetta al ministro (conf)industriale Federica Guidi e quindi al governo. Ma anche se siamo ancora alla teoria, Piombino e la Val di Cornia hanno potuto respirare, sindaco Giuliani in testa. Ben diverso il clima a Livorno, piegata da una profondissima crisi industriale e alla seconda manifestazione in dieci giorni. Dopo quella di sabato 15, molto partecipata, del «coordinamento lavoratori e lavoratrici livornesi», ieri circa duemila persone hanno risposto alla chiamata dei sindacati confederali, che avevano indetto uno sciopero di tre ore. Al traguardo in piazza del Luogo Pio hanno parlato i delegati delle vertenze del momento. In primis Trw, ma anche la raffineria Eni di Stagno, la Mtm, il call center People Care, e le spazzine della CoopLat che ce l’hanno con il sindaco pentastellato Nogarin che vuole rivedere il bando di appalto per il loro servizio.

In piazza anche Enrico Rossi, invitato da Cgil, Cisl e Uil a parlare ma che ha dovuto fare in conti con una contestazione a suon di fischi e trombe da stadio di un centinaio di persone. Il presidente toscano, che ci mette sempre la faccia, ha replicato che chiederà al governo un piano per Livorno, e ha aggiunto di aver contattato aziende automobilistiche per avere commesse per la Trw. Agli occhi dei contestatori, e anche della sinistra di Buongiorno Livorno e di altre realtà sindacali di base, non è però piaciuta l’esultanza con cui Confindustria, Cna, Coldiretti, Confartigianato, Confagricoltura, Confcommercio, Confesercenti, Legacoop, Asamar e Spedimar hanno plaudito ai 170 milioni promessi dalla Regione per la città. Chiamando per giunta «a un patto sociale tra categorie imprenditoriali e sindacati». Intanto a Roma, proprio su Trw, a notte fonda si trattava ancora.