«Nei festeggiamenti del Carnevale i corpi si mescolano, partecipano a uno stesso stato della comunità portata alla sua incandescenza»( Le Breton D. 2007, p.30).
Il Carnevale è rivelatore di un vissuto del corpo che non si arresta ai confini, ma straripa, espandendosi verso l’esterno. Il corpo umano nelle tradizioni carnevalesche è vettore dell’inclusione non causa di esclusione; sospinge l’uomo verso un mondo percorso da energie visibili ed invisibili .
Che sia il «Caporaballo» di Montemarano, in ‘maccaturo’ e maschera, disciplinatore della folla, lo «Squacqueracchium» di Teora che incappucciato percuote in aria bastoni e campanacci, o il “«Capozeza» e i «Zezaiuoli» di Bellizzi Irpino e Mercogliano, chiunque partecipi al Carnevale eccede nella libera espressione di un «corpo grottesco». Si oppone radicalmente al «corpo moderno», liscio, morale, senza traccia di originalità e cambiamento, un corpo che eccede. Bocche aperte, organi genitali, seni, falli, grossi ventri o nasi, come dice Bakhtine, pongono l’accento su «tutti gli organi che provocheranno la vergogna nella cultura borghese». Il Carnevale si appaga delle azioni più disdicevoli e incontrollabili, nelle quali il corpo si sforma e in-forma il mondo.
La dimensione del corpo è territorio di frontiera tra passato e presente, palcoscenico che esibisce la trasformazione del tempo. Nella civiltà medievale e rinascimentale un’antropologia cosmica crea la cornice sociale e culturale dentro la quale l’uomo si muove indistinto, mischiato alla folla dei suoi simili, inserito in una trama comunitaria, dentro una stretta rete di corrispondenze. Tra il XVI e il XVII secolo l’ «uomo cosmo» cede il passo all’ «uomo anatomizzato», il corpo non più in connivenza con il cosmo, diviene proprietà dell’ individuo da analizzare o vivisezionare nelle componenti materiali, come un apparecchio da scomporre.
L’uomo contemporaneo, in fine, costruisce la sua visione personale del corpo come un puzzle di pezzi che non si incastrano, oscilla tra molteplici saperi possibili e contraddittori mal nutrendosi di incertezze, nella permanente ricerca di un corpo perso, che, in realtà, è una comunità persa. Eppure tracce di un’ «Antropologia cosmica» si intravedono nelle sopravvivenze permanenti di alcuni contesti e occasioni comunitarie campane. A Carnevale c’è chi riesce ancora a sospendere l’informe appiattimento del quotidiano attraverso l’effervescente passaggio al paradossale.
L’unpli (L’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) provinciale di Avellino parla di 100 Carnevali ad Avellino e provincia, con rispettive specificità. Zeze e «Zezoni» avellinesi rappresentano gelosie e conflitti familiari, mentre rifacimenti di riti propiziatori, invocanti la benevolenza degli dei, danno ritmo alle strade Montemaranesi. Dalla doppia maschera di Montoro con il Pulcinella a cavallo di una vecchia con il seno prosperoso, al laccio d’amore di Baiano; dal «ballo dell’Intrecci» di Monteforte ai carri allegorici di Paternopoli e San michele di Serino fino alle sfilate di Cervinara, sono numerose e diversificate le occasioni carnevalesche irpine, in una dimensione trans-individuale, dove gli esseri umani si ricombinano nella condivisione.
Nell’esultanza delle diversità è possibile riscoprire l’eterogeneità dell’etno-musicologia. Montemarano, ad esempio, racchiude il gene fecondo della musicalità che si propaga nella comunità, la costituisce rendendola eterna come testimonia il testo con cd «Mascarà mascarà me n’a fatto’nnamorà» di D’Agnese e Giuriati. La tarantella montemaranese, unica nel suo genere, suonata soprattutto durante il Carnevale con clarinetto, fisarmonica, tamburello, castagnette e la più antica ciaramella, è la testimonianza culturale di una comunità che nella musica si rinnova e resiste.
Nel tripudio di vita che esplode nelle piazze montemaranesi, è possibile, a tratti, ascoltare il sibilìo delicato ed evocativo di alcuni rari strumenti musicali artigianali, così detti «effimeri», come lo scaccia pensieri e lo «iscaro ‘e castagna», flauto ricavato dalla corteccia di castagno.
Come testimonia il documentario dell’antropologo Vincenzo Esposito «Tracce persistenti. La lunga vita del Carnevale di Montemarano», nel 1975, Annabella Rossi, allieva di Ernesto de Martino, conduce con un gruppo di collaboratori, una ricerca «generale» sulle feste di Carnevale in Campania. Ricalca tracce, ritenute smarrite, e intravede nella danza corale il legame con il ballo processionale, un tempo impiegato sacralmente per accompagnare le divinità in processione. Simboli e comportamenti rituali sembrano rinnovarsi nel tempo attraverso un processo di «rifunzionalizzazione» che li adatta alle mutate condizioni storiche e sociali del contesto. Anche se oggi il gesto delle processioni popolari, ad esempio, è quello di un semplice camminare, molti elementi conservano la funzione ritmica e coreutica d’un tempo.
Nei giorni freddi e tempranti di febbraio, tra movimenti rotatori, passi ritmati, figure marcate ed eccedenti Il Carnevale sovverte le presunte certezze e celebra riti agricoli nel passaggio dall’inverno al tempo del risveglio e della rifioritura. Nel fervore delle strade, nelle piazze, ognuno partecipa all’effusione collettiva, nella mischia confusa che se ne infischia delle convenzioni. In queste occasioni di festa, in contesti ravvivati, lontani dai «non luoghi» delle città , la persona è di nuovo subordinata a una totalità sociale che prevale. Un tessuto di corrispondenze unisce di nuovo, sotto un destino comune e scambievole, la vecchiaia e la giovinezza, gli animali e gli umani, la natura e il mondo invisibile. Come il passato e il presente, la vecchiaia e la giovinezza, la vita e la morte, l’Ingombrante e l’effimero si amalgamano rifondendosi, tutto risuona insieme, nulla e nessuno resta escluso o indifferente.
«C’è bisogno di tutto per fare il mondo: il Carnevale porta questa coscienza alla sua intensità massima»(Le Breton D. 2007, p.31).

Per informazioni sulle date del Carnevale Irpino consultare il sito della Unpli: http://www.unplicampania.net/unpliavellino/