Nel 2021 l’Europa ha importato in un anno 155 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia, pari a circa il 45% delle importazioni Ue di gas, fonte che rappresenta il 25% del proprio mix energetico. E importa fonti fossili per soddisfare più della metà del suo fabbisogno, 1000 Mtep su 1750. In Italia le cose non vanno meglio, anzi. Quasi il 75% del nostro fabbisogno è soddisfatto solo grazie alle importazioni nette, per il 40% dal gas naturale, per il 33% dal petrolio. Il gas che proviene dalla Russia copre il 45% del gas totale importato.

Sono numeri che evidenziano l’importanza dell’energia sull’aspetto geopolitico, indipendentemente dal conflitto tra Russia e Ucraina perché quello che brucia, oltre al fossile, è la mancanza di lungimiranza nelle politiche energetiche di approvvigionamento fin qui messe in campo, In Europa come in Italia. Né le soluzioni per l’affrancamento della nostra dipendenza dalla Russia, che prevedono quantitativi di gas provenienti da altre zone geografiche, risolveranno questo problema per il futuro.

Con colpevole ritardo, occorrerebbe fare finalmente i conti con la vulnerabilità del nostro continente causata da una dipendenza dai combustibili fossili, senza perdere più tempo. Da questo punto di vista, un futuro libero dal fossile è anche un potentissimo strumento di pace, oltre che di contrasto al cambiamento climatico.

L’energia – la guerra in Ucraina lo dimostra – risulta essere il paradigma di un cambiamento necessario, in quanto è inaccettabile e senza senso insistere con un modello proprietario, divisivo, escludente, capace di far scoppiare guerre, ridurre in povertà popoli, accelerare processi migratori, inquinare il pianeta. I meccanismi dell’energia, dalle trasformazioni delle sue fonti alla definizione dei suoi fabbisogni, sono direttamente collegati alla realizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo, alla sua responsabilità nella società e alla tutela nei confronti di un degrado che oltre ad essere ecologico è soprattutto sociale.

Il degrado è misurabile oggi in maniera evidente con la perdita di equità sociale, che è una componente etica legata alla dignità dell’uomo, al suo senso di libertà e di democrazia.

Quindi, l’energia deve essere considerata come bene indispensabile per una vita dignitosa, intesa come capacità di definire l’identità dell’uomo e della società. Abbandonare allora definitivamente l’angolo in cui ci siamo ficcati per ricercare invece condivisione, collaborazione, senso di comunità, che sono caratteristiche impossibili da ottenere senza una partecipazione attiva dell’individuo, oggi preclusa, come racconta bene l’attuale situazione energetica.

Il vero significato dell’obiettivo 7 delle Nazioni Unite riguarda un accesso all’energia che è senso e misura della libertà dell’uomo. Della libertà di un popolo. Infatti, la guerra per assoggettare le popolazioni passa attraverso il controllo e la limitazione della sua necessità di energia, è così da cinquant’anni. Con l’avvento delle fonti rinnovabili e delle comunità energetiche, che stanno sovvertendo un intero sistema economico, si promuove l’idea di bene comune: che protegge le generazioni che verranno e permette la ridistribuzione della ricchezza anziché la sua concentrazione in poche mani.

Eliminare la dipendenza dalle fonti fossili, nella disponibilità di pochi Paesi, significa garantire accesso universale e approvvigionamento equo. In altre parole, significa più stabilità e giustizia in un mondo dove deve crescere una nuova consapevolezza sul bene comune. In un mondo dove non esiste greenwashing perché l’abbondanza rende inapplicabile il concetto di proprietà privata.

Il vantaggio della crescita progressiva ed urgente delle rinnovabili riguarda la lotta all’emergenza climatica, ma anche la necessità di un’Europa che, dipendendo meno dal gas, diventi un’Europa più libera. Vento e sole, e aggiungerei efficienza energetica, non possono essere manipolati strategicamente per interessi di parte. Non potranno mai diventare causa di una guerra.

*Prorettore alla sostenibilità, Università La Sapienza