Estratti dal Laboratorio di Alta Formazione sulle Tecniche dell’Attore ValigiaLab tenuto da Toni Servillo nel 2010 e organizzato dal centro Teatro Ateneo de La Sapienza Università di Roma, all’Isola della Maddalena, nell’ambito di La Valigia dell’Attore, evento annuale dedicato a Gian Maria Volontè; e dal Laboratorio di Toni Servillo e Teatri Uniti su “Elvira” da “Elvire-Jouvet 40” di Brigitte Jaques al 44 Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia, luglio 2016.

GOLDONI

Non pensate a un Goldoni di fazzolettini ricamati, parrucchette, musichette,gondolette . E’ un inganno, un equivoco, ma che paradossalmente nasce da una delle cose più affascinanti del ritmo della battuta goldoniana : molto spesso è più importante il modo del fraseggio, che non quello che si dice. Una differenza essenziale che c’è tra questa scena delle Smanie di Goldoni e quella del Misantropo di Molière è che in Molière le parole hanno una importanza fondamentale, arrivano come delle spade, delle lame, feriscono, fanno male, invece in Goldoni va gestito più un comportamento fisico che è eloquente di per sé , il tono, l’atteggiamento…immaginate una conversazione telefonica di oggi oppure una rapida conversazione in mezzo ad altre cose che si stanno facendo, dove c’è una certa distrazione, perché si è occupati a fare altro. Le Smanie , che è il titolo della prima commedia, sta come quando nei movimenti di una sinfonia si indica “Allegro” o “Largo” o “Sostenuto”.

Questo “smaniare” racconta che si sta completamente dentro un sistema di moda, che sviluppa un comportamento preciso che è eloquente sul piano delle azioni fisiche, che sono anche un atteggiamento del corpo, un modo di porsi. La Trilogia della Villeggiatura è molto eloquente sia nelle indicazioni del testo: smanie, avventure, ritorno, sia nella composizione spaziale. Nelle Smanie l’azione si svolge in maniera perfettamente binaria e con un ritmo alternato da metronomo tra una casa e l’altra , con una velocità che sta a testimoniare quello che molto spesso torna importante per il mestiere dell’attore, quello che è indicato da una frase molto bella, che sta in Raffaele La Capria, “La vita è quello che ci accade mentre ci occupiamo d’altro”. In questo senso l’attore dovrebbe riuscire su due binari a far passare la “vita” e “quello che sta accadendo al personaggio”.

Quello che accade è che Giacinta si compromette, quello che succede nell’occuparsi d’altro è ”le scarpe mi vanno strette”, “mi porto questo vestito o quest’altro”. Si parla di accoppiamenti, carrozze, vestiti, simpatie, antipatie. A un certo punto si arriva in villeggiatura e gli spazi diventano ampi, larghi e il sistema moda diventa molto meno oppressivo che in città. In villeggiatura si apre un altro tempo. Un movimento che è “largo”. Nel Ritorno si torna in città e la vita presenta il conto per cui viene fuori che la Trilogia è una grande metafora dello stare al mondo. E la scenografia dal che era nelle Avventure una unica scenografia naturale, una terrazza, un ambiente dove i sentimenti predominano, trovano spazio, adesso invece il sociale ritorna sotto forma di “oppressione”, che non è più però il “pressare” della moda che ha una sua allegria, come in un Rossini, in un Cimarosa, ma introduce una atmosfera che assomiglia un po’ al boschetto delle Nozze di Figaro di Mozart: c’è una nota in minore, malinconica, notturna.

Sono tante stanze, anditi, sottoscale, stanzini, è come se prendessero piede l’infelicità, l’insoddisfazione , la nevrastenia, questo senso di non sopportare né se stessi né gli altri, perché si è costretti ad operare dei compromessi. Come se i personaggi sbattessero da una parete all’altra. E’ tutto frammentato, è tutto spezzettato. Questo dà un ritmo all’azione, e quindi anche alla recitazione, nervoso e malinconico. Così le indicazioni di spazio di un grande drammaturgo come Goldoni , introducono il modo sapiente di chi è autore limitrofo alla scena. Goldoni scriveva quasi sul palcoscenico, si innamorava delle attrici, faceva l’impresario. Concepisce lo spazio in una dimensione drammaturgica, ritmica che l’attore intelligente, se sa coglierla, fa diventare strumento per lavorare.

Dovreste avere consapevolezza che alla cultura nazionale italiana è mancato Molière, è mancato quest’uomo. La nostra storia è “fregata” dal cattolicesimo. Invece sentite Molière come tratta la vita, come, anche nel gioco d’amore, tira fuori certi problemi in maniera laica, semplice, naturale. E l’ha pagata, nel suo paese. L’ha pagata col Tartufo, coi processi. E io sento nella gioventù che c’è bisogno di Molière. Bisognerebbe imporlo, per decreto ministeriale: gli attori tra i 20 e i 25 anni devono recitare tutti Molière per un anno. Perché sento che è il vostro autore. Questa è proprio roba vostra. Il fatto che nella nostra cultura sia mancato un autore così ha creato quell’atmosfera di mortificazione, molto cattolica, che poi ha prodotto atteggiamenti esattamente opposti. Per cui noi siamo un paese in cui il femminile si proietta nelle veline. Mentre il femminile di Molière lo ritrovi in un certo cinema francese: Truffaut, Rohmer.

E questo a noi manca.

Siamo perpetuamente raccontati in uno stereotipo che è quello della mignotta e del figlio di puttana. Cioè di maschere. Molière è l’autore di questa età. Impressionante. E’ l’autore rimosso dalla cultura italiana.

Anche da un grande studioso come Silvio D’Amico. Lui , da cattolico, lo trovava luciferino. Certo Molière continua a emettere un’aria di zolfo. Rompe le scatole, perché è libero. Per come sceglie i temi e per come li esprime. Per l’evidenza E’ un paradiso di teatralità. E’ un autore attraverso cui gli attori devono passare. Per Molière ci dovete passare, prima di fare i capelli bianchi. Perché è l’autore di questa felicità della gioventù. Voi ragazzi avete una tensione a rompere gli schemi che è positiva, ma se avete una totale consapevolezza di quale è il perimetro. Altrimenti la stessa libertà vi porta in una zona in cui dite “ma dove sono finito?”. In una zona di totale astrazione in cui vi ritrovate a lottare con i mulini a vento. Per prendersi quella libertà di movimento dovete sapere le regole del gioco. Maradona si prendeva grandi libertà in campo, ma stava sempre dentro al gioco. Bisogna conoscere a perfezione qual è il territorio che si attraversa. Perché il personaggio è più forte di te, ti frega. E’ la creazione di qualcuno che prima di te ci ha pensato molto, ma molto, mentre noi ancora dovevamo nascere.

JOUVET

Questo è recitare. Andare da qua a là è recitare. Jouvet lo dice con molta chiarezza: il camminare, che è un gesto, deve accompagnare il testo. Quando cammini sei nel testo, sei nel personaggio. Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità per trovare nuove strade, nuovi incroci, nuovi punti di partenza. Quindi si tratta di smuoverla questa sensibilità, questa zona misteriosa. La prima cosa che dice Jouvet a Claudia ( l’attrice con cui al Conservatoire costruiva il personaggio di Elvira nel Don Giovanni di Molière), è: non bisogna fare pause, è un flusso. Le pause tagliano l’effusione insita nelle parole. Respirare all’interno della frase. Brigitte Jacques ambienta Elvire-Jouvet 40 in un teatro buio, deserto, dove si sente tutto quello che vi si è depositato: risate, dolori, gioie, pianti.

E in questo buio noi vediamo arrivare il personaggio. Viene in luce e tu ti chiedi chi è: Claudia, Elvira? Si dice: “Non succede niente, non succede niente…” e giorni e giorni ad aspettare, come in un assedio. Poi improvvisamente il personaggio arriva. Bisogna mettersi in attesa, di fronte al mistero di questo personaggio, aspettarlo. A un certo punto Jouvet dice :”Eccola! Eccola li…hai trovato l’inizio”. Quello che è fantastico è che Jouvet finisce questa tirata dove le dice: “I tuoi gesti sono coscienti, invece lei è incosciente. Questa donna è quasi una sonnambola, è smarrita, è sconvolta. Invece si capisce perfettamente quello che dici, quello che dici lo vuoi spiegare. Fa l’effetto di un discorso che un confessore fa alla sua penitente.…”. Dopo tutta questa tirata: silenzio. Jouvet si tira una sigaretta dal pacchetto, guarda nella direzione in cui ha sempre provato l’ingresso di Elvira e dice: “ E’ il problema dell’entrata”.

E’ fantastico!

 IL CONVEGNO

Il Centro Arti Musica e Spettacolo e il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria organizzano, dal 29 al 31 maggio, presso ilTeatro Auditorium Unical Rende (CS),una iniziativa dedicata all’attore, «Pensare l’attore. Tra la scena e lo schermo», a cura di Roberto De Gaetano, Bruno Roberti e Daniele Vianello, che prevede un convegno internazionale accompagnato da incontri, spettacoli e film dedicati al tema.

Come rileggere le forme e le pratiche dell’attorialità nel complesso intreccio di linguaggi, singolarità e stili che segnano la commistione tra teatro, cinema e televisione nella contemporaneità? Questa è la domanda guida che si porranno studiosi e anche artisti che interverranno (Toni Servillo, Marco Paolini, Gabriele Vacis e Roberto Andò) nei diversi panel delle tre giornate, che a partire dall’attore rifletteranno anche sui rapporti tra cinema e teatro. Tra gli studiosi interverranno: Josétte Féral, Stefano De Matteis, Claudio Vicentini, Michele Guerra, Salvatore Tedesco, Guglielmo Pescatore, Lorenzo Mango, Augusto Sainati, Luigi Allegri, Vito Zagarrio, Marco De Marinis, Ruggero Eugeni, Francesco Pitassio, Cristina Jandelli, Anna Barsotti, Raimondo Guarino, Christian Uva, Enrico Menduni.

Il programma prevede anche una rassegna cinematografica nel corso della quale verranno proiettati Sils Maria di Olivier Assayas, con Juliette Binoche, Kristen Stewart e Chloë Grace Moretz e Le confessioni di Roberto Andò alla presenza del regista e del protagonista Toni Servillo.

Sono previste inoltre presentazioni di libri, alla presenza degli autori, e l’inaugurazione della mostra «I drammaturghi» dell’artista, pittore e scultore Mimmo Paladino: undici ritratti di drammaturghi e attori, da Eschilo ad Eduardo.