Basta digitare su Google «Uk Universities Uae» per rendersi conto dei solidi legami tra Gran Bretagna ed Emirati arabi in campo accademico: il British Council ha un’intera pagina dedicata agli aspiranti studenti emiratini in un campus britannico e a metà novembre ha rinnovato l’appuntamento annuale con la Study Uk Exhibition (tra Abu Dhabi e Dubai tre giorni per mostrare le opportunità educative ai giovani emiratini). Non solo: anche i singoli atenei, a partire dai più piccoli, dedicano pagine web ai potenziali iscritti dal Golfo.

Una realtà ormai consolidata e che non riguarda solo l’emirato al centro delle polemiche per la condanna a vita inflitta al ricercatore britannico Matthew Hedges: da anni gli atenei del Regno unito vanno a caccia di studenti stranieri e aprono filiali all’estero per fare profitto dopo l’ampia privatizzazione del settore educativo d’Oltremanica.

Ecco perché la protesta lanciata da uno di quei campus è significativa: a 24 ore dall’annuncio della durissima sentenza, dietro l’accusa di spionaggio, comminata al dottorando 31enne, i membri del sindacato Ucu dell’Università di Birmingham (che ha una sede a Dubai) hanno votato a favore del boicottaggio dei rapporti accademici con la petromonarchia.

Ovvero, lo staff nel campus di Dubai da oggi si rifiuta di lavorare e quello dell’intera università chiede ai manager di sospendere la costruzione di un nuovo campus che dovrebbe accogliere altri 4.500 studenti. Costo del contratto 100 milioni di sterline a favore della Telcom, compagnia sussidiaria della Dubai Holding di cui è proprietario di maggioranza il primo ministro emiratino, Sheikh Mohammed bin Rashid Al Maktoum. L’ateneo, da parte sua, smorza i toni e per ora prende tempo.

Parlano anche i vertici degli Emirati arabi per difendersi dalle accuse e proteggere i ricchi rapporti con Londra, che mercoledì il segretario agli Esteri britannico Hunt ha messo in discussione: «Hedges è stato trattato con giustizia e secondo la costituzione – si legge in un comunicato del ministero degli esteri – Non è vero che gli è stato chiesto di firmare documenti che non capiva. Le parti hanno discusso regolarmente la questione negli ultimi mesi. Speriamo entrambi di giungere a una soluzione amichevole del caso di Matthew Hedges».

Una nota che sembra ventilare una grazia o l’accettazione del ricorso, così da salvare la faccia a tutti. Perché quella di Londra, ieri, è stata investita dalle accuse della moglie del giovane, Daniela Tejada, secondo cui il governo di Londra ha preso il caso sotto gamba o peggio, ha preferito salvaguardare i rapporti con il partner: «Ho avuto l’impressione che abbiano messo gli interessi con gli Emirati davanti alla libertà di un cittadino britannico».