È uscito da poco l’ultimo numero di Italian Culture, semestrale dell’«American Association for Italian Studies» (tandfonline.com/toc/ yitc20/current), il primo a cura dei redattori Lorenzo Fabbri (University of Minnesota) e Ramsey McGlazer (University of St. Andrews). La pubblicazione vede contributi che spaziano tra diverse discipline, includendo però una attenzione verso la contemporaneità. In questa ottica, il cinema italiano di oggi sembra dover giocare un ruolo importante (nel numero corrente c’è, per esempio, un saggio su Call Me by Your Name di Luca Guadagnino).

ORIZZONTI TEORICI
Ma a questo punto ci si potrebbe chiedere: qual è il quadro teorico-culturale che ha contribuito a rendere il cinema italiano una materia accademica negli USA? In merito, Fabbri e McGlazer puntualizzano: «Il campo sta subendo una sorta di cambiamento paradigmatico, dove le convinzioni di lunga data su quello che conta come cinema italiano (ma anche come Italia e italiano) stanno venendo riconsiderate. Per quasi trent’anni il dibattito nelle Università in USA – e in generale nella sfera anglofona – è stato molto influenzato dall’approccio formalizzato nel libro del 1986 di Millicent Marcus, Italian Film in the Light of Neorealism».
Dalla metà degli anni Ottanta è passato del tempo. I due editor individuano all’inizio di questa decade i primi segnali di un cambiamento. «È in quel periodo che si è cominciato a costituire nuovi archivi e evocare nuove metodologie, a prestare attenzione a progetti e visioni di Italia che erano stati trascurati. All’inizio c’è stata una sorta di sfida all’autorità del canone e dei maestri, una sfida che si è materializzata nell’inversione della gerarchia tra cultura alta e cultura bassa. E quindi, anche: tra cinema d’autore e cinema di genere, impegno e intrattenimento, grande e piccolo schermo, realismo e melodramma.

NUOVI APPROCCI
Oggi, invece, il discorso sembra essere uscito dalla sua fase iconoclasta. Si stanno producendo forme di conoscenza relative alla cultura visuale italiana che non producono nuovi dualismi e non prescrivono regole su cosa guardare o come scriverne. La situazione è mobile e multi-vocale. Si tratta di qualcosa che, con Italian Culture, cerchiamo di intercettare». L’affermazione merita, senza dubbio, uno sviluppo, magari a partire dall’idea di dare visibilità a quanto, fino ad ora, è rimasto sommerso. «Forse gli aspetti meno noti del cinema italiano sono nella produzione popolare e in certa produzione documentaristica. Sfidando la rilevanza assegnata al neorealismo nel discorso critico, alcuni studiosi hanno virato verso il cinema di genere, lavorando – per esempio – sul fenomeno dei filoni. La svolta verso il nazional-popolare ha anche comportato un interesse nel post e non-cinema, e quindi: televisione e serialità, ma anche culture dello streaming e nuovi media. In merito, Paola Bonifazio e Maurizio Vito stanno curando per Italian Culture un numero speciale dedicato alla transmedialità, dove esploreranno l’impatto delle nuove tecnologie e piattaforme mediatiche sul modo in cui le forme narrative vengono prodotte e consumate».

In relazione invece al secondo aspetto, Fabbri e McGlazer tendono a leggere la cosa in modo politico: «Potrebbe sembrare un po’ controintuitivo, ma l’insistenza sul valore quasi-documentaristico del neorealismo ha comportato una sorta di rimozione della ricca storia del documentario italiano, che è anche una storia di registe donne che creano tendenze e rompono barriere. Anche questo sta cambiando. È bello notare la presenza di discussioni del cinema di Cecilia Mangini e Alina Marazzi in riviste importanti, dal momento che questi dibattiti influiscono su quali film diventano oggetto di lezione accademica e quali voci vengono ascoltate dagli studenti. A tutto questo, si può aggiungere una nota sul cinema migrante. Mentre l’attenzione sulla controparte letteraria è sostanzialmente viva, non sappiamo molto di cinema migrante italiano: dobbiamo, e vogliamo, saperne di più. Perché, come dire, quello che viene dai margini può aiutarci a ripensare cosa sia la cultura italiana, dove e da chi venga prodotta».

CINEMA GLOBALE
Va da sé: una osservazione del genere suona anche come un manifesto per il futuro degli studi accademici in questo ambito. «La nostra risposta, naturalmente una delle molte possibili, è che la cifra del cinema italiano consista nella sua capacità di far riflettere su questioni che non sono esclusivamente nazionali o locali, ma che invece hanno una rilevanza e portata globale. Questo perché il cinema italiano è transnazionale fin dalle sue origini, ed è il prodotto di viaggi e viaggiatori. Sia nell’insegnamento che nella ricerca, è stato fatto molto per sprovincializzare e de-nazionalizzare lo studio del cinema italiano. In un momento storico dominato da fantasie nazional-sovraniste, ci sembra urgente, come Italian Culture, contribuire a questo lavoro collettivo».