Luci sull’Abruzzo, al voto il prossimo 10 febbraio per le elezioni regionali. Con le quattro province calcate in lungo e in largo dai leader della politica nazionale, mai come prima. Da Salvini che fa il tutto esaurito a Di Maio che arriva spesso per dare manforte ai propri. Perché questo voto rappresenta il primo test reale per il governo gialloverde e per il tormentato centrosinistra. Indicherà, in linea di massima, orientamenti e umori di un’Italia quasi imbrigliata nell’ennesima recessione. Su e giù per l’Abruzzo si affannano soprattutto i vertici di Lega e 5Stelle.

Sono quattro i candidati presidente per un totale di sedici liste. Giovanni Legnini, 60 anni, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ed ex parlamentare prima dei Democratici di sinistra e poi del Pd, guida il centrosinistra ed è collegato a otto liste: Progressisti con Legnini-Sinistra Abruzzo-Leu, Legnini presidente, Abruzzo in Comune, Centristi per l’Europa-Solidali e Popolari per Legnini, Avanti Abruzzo-Idv, Abruzzo Insieme-Abruzzo Futuro, Più Abruzzo-Solidale Liberale Popolare Sostenibile con Legnini e Partito democratico. Fuori dai giochi Rifondazione, senza lista.
Per il centrodestra, pescato direttamente da Roma, corre Marco Marsilio, 51 anni, storico esponente di Alleanza nazionale eletto senatore con Fd’I nel 2018. È sostenuto da sei liste: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Azione Politica, Popolo della Famiglia – Popolari per l’Italia, Udc-Dc-Idea. Il suo nome è emerso dopo una disputa estiva di coalizione: il Carroccio aveva persino avanzato la possibilità di correre da solo. Poi lo strappo è rientrato. Sara Marcozzi, 41 anni, avvocato, consigliere regionale uscente, è la candidata del M5S. E poi c’è Stefano Flajani, avvocato di 47 anni, che rappresenta CasaPound.

Si vota con il sistema proporzionale, con soglia di sbarramento al 4% per le liste che corrono da sole e del 2% per quelle che vanno in coalizione. Non è previsto il ballottaggio. In base al numero dei voti ottenuti, al governatore verranno attribuiti tra il 60% e il 65% dei seggi. Si tratta di un ritorno anticipato alle urne, decretato dalla scelta di Luciano D’Alfonso, governatore uscente, che ha optato per il posto in senato, eletto con il Pd lo scorso 4 marzo.

A parte i riciclati camuffati (c’è chi è passato da destra a sinistra e viceversa) che si sono infilati ovunque, l’esperimento, in questa tornata, è rappresentato dal gruppo messo assieme da Legnini, che egli stesso definisce «una rivoluzione copernicana». E cioè un centrosinistra civico, largo, senza simboli di partito e bandiere, che tenta la discontinuità. Non più «piddicentrico», con capacità di ascolto e con in mente lavoro e sociale, ma con un passato appena prossimo che lo ha lasciato a brandelli e in svantaggio. Poi c’è Salvini, che riempie le piazze, trascinando Marsilio, parlando di trivelle, migranti e sicurezza, e che è deciso a decretare la propria leadership. E ci sono i grillini, che governano a livello centrale, con la Lega, ma vanno allo scontro in Abruzzo. Con Marcozzi che definisce Marsilio «console romano« catapultato in una realtà che ignora.
«Noi abbiamo creato un movimento ampio, abbiamo costruito una casa accogliente. E qual è la risposta degli avversari? – si infervora Legnini -. La messa in campo di un’operazione di distrazione di massa… La venuta in Abruzzo, senza precedenti, di capipartito, ministri, vicepremier, ex di qualcosa… Salvini, Di Maio. Berlusconi, Meloni… Vanno e vengono, per giorni e giorni… Torneranno e ritorneranno, e dopo il 10 febbraio non li vedremo più… Stanno tentando di convogliare il voto su un piano esclusivamente politico, perché si voti per Salvini, per Di Maio, per Berlusconi, non per i candidati presidente, non per i programmi».

Campagna elettorale stemperata da maltempo, gelo e nevicate, che potrebbero condizionare anche l’afflusso alle urne. In testa, i sondaggi finora diffusi, danno Lega e 5 Stelle. Tutto ciò in un Abruzzo in parte lacerato dai terremoti, non solo del 2009 all’Aquila; anche da quelli che hanno devastato l’Italia centrale nel 2016 e nel 2017. Un Abruzzo le cui strade sono per lo più impraticabili e vergognose. Un Abruzzo con tre parchi nazionali, una natura quasi selvaggia, amene coste sfrangiate e sabbiose, piste da sci e borghi unici, ma che col turismo non riesce a fare troppa economia. Un Abruzzo a tratti lento, a tratti con realtà industriali, come quella della Val di Sangro (Chieti), tra le più importanti del centro sud, con colossi come Sevel, Honda e Valagro, che reclamano però infrastrutture adeguate.