L’inferno ha il colore di storiche zone verdi tinte di nero; dei turisti che fuggono dalle spiagge di sabbia mista a fiamme e fumo; di lingue di fuoco che danneggiano aziende, corrono impazzite per decine e decine di chilometri e inceneriscono tutto quanto possono, compresi campi coltivati.

L’Abruzzo brucia. Gli ultimi due giorni sono stati di emergenza e rincorsa affannosa, con scarsi mezzi e uomini insufficienti a domare roghi devastanti. A Pescara se n’è andata parte della cosiddetta Riserva dannunziana, patrimonio verde identitario della città aggredito, domenica, dall’incendio partito da un canneto e che in breve si è tramutato in devastazione e terrore. Perché mentre gli alberi dell’area protetta ardevano, le scintille sono arrivate fin sul bagnasciuga, aggredendo le palme e gli ombrelloni di alcuni lidi. I bagnanti, in preda al panico, sono scappati.

Le fiamme si sono propagate a macchia d’olio arrivando a lambire e anche a raggiungere abitazioni, con centinaia di evacuati. Sono state sgomberate case e un centro anziani. Una trentina coloro che hanno chiesto cure mediche, tra cui una bimba e alcune suore.

È stato attivato il Centro operativo comunale (Coc). «Un danno incalcolabile – dice il sindaco Carlo Masci, riferendosi alla pineta – che ha coinvolto soprattutto la parte integrale, sulla quale non è possibile intervenire per i vincoli. Ore drammatiche. I danni ambientali sono incalcolabili. Qui ci sono le radici di Pescara; questo è il suo cuore». È frutto di un impianto ex novo da parte del marchese D’Avalos nel ’500 e gli attuali alberi sono il risultato di rimboschimenti fatti dall’ex Corpo forestale dello Stato dal dopoguerra agli anni ’80.

Anche in provincia di Chieti, soprattutto sulla Costa dei trabocchi, gli incendi, numerosi, l’hanno fatta da padroni. Da Ortona, dove è stata divorata la splendida riserva dell’Acquabella, a Rocca San Giovanni, dove la pregiata pinetina è ora un susseguirsi di tronchi arsi. Qui le fiamme sono arrivate fino al mare, avvicinandosi ai trabocchi che punteggiano il litorale e alla pista ciclopedonale.

Diverse le famiglie costrette ad abbandonare di corsa le case. Chiusi a tratti la statale 16, i caselli di Lanciano e Val di Sangro dell’A14, anch’esso bruciato; stop ai treni, con problemi di collegamenti anche per altre regioni, tra cui la Puglia. Neppure la provincia di Teramo è stata risparmiata.

Ci sono fascicoli aperti in diverse Procure per quanto accaduto. «Colpa dei piromani, attori delinquenziali, ma agevolati da un contesto di poca assunzione di responsabilità, nonostante i ripetuti appelli»: è il commento dell’Ordine dei dottori agronomi e dei dottori forestali.

«Gli incendi – afferma Sabrina Diamanti, presidente Conaf – sono una piaga non più accettabile: sono un rischio, distruggono case, stalle, imprese, provocano danni alla biodiversità e perdita di suolo fertile. Attuare politiche di selvicoltura preventiva che circoscrivano il danno o facilitino lo spegnimento è possibile, anzi necessario».

«Quello che chiediamo è un ripensamento del sistema di gestione dei roghi in Abruzzo e di conseguenza un commisurato stanziamento di fondi, in modo che la prevenzione diventi un obiettivo chiaro e fondamentale, anche in considerazione del clima che sta cambiando – sollecita la delegata regionale del Wwf, Filomena Ricci -. Nella nostra regione gli incendi di notevoli dimensioni da fronteggiare sono stati 33 nel 2018, 75 nel 2019 e 62 nel 2020, da dati della Protezione civile. A fronte di queste cifre la Giunta Marsilio ha da poco ridotto di quasi 200 mila euro i fondi per l’attività dei vigili del fuoco; ha tagliato i finanziamenti per le riserve naturali regionali, il cui personale svolge una preziosa funzione di controllo e presidio. Si è preferito dare soldi a fondo perduto a una squadra di calcio perché venga in ritiro nella nostra regione piuttosto che investirli per tutelare il territorio».