La scomparsa , 5 mesi fa, di Jole Santelli, a pochi mesi dalla sua elezione a presidente della Giunta regionale della Calabria, ha assiso sul trono più alto della nomenklatura calabrese Nino Spirlì, vicepresidente scelto dalla Lega con un passato tutto coerentemente a destra, in Forza Italia e in Fratelli d’Italia.

Da quella data Spirlì è divenuto per tutti il Facente Funzione. Le nuove elezioni si dovevano svolgere il 14 febbraio di quest’anno ma, causa Covid, sono state rinviate dal Facente Funzione all’11 di aprile. Qualche giorno fa è stato il Consiglio dei ministri a decidere un nuovo rinvio, collocando la consultazione fra il 15 settembre e il 15 ottobre.

A quel tempo il Facente Funzione avrà guidato la Calabria per un anno intero e giusto nell’arco di tempo che dovrebbe portarci fuori dalla pandemia. Davvero troppo per chi non è stato scelto dai concittadini calabresi e ha già dimostrato di non saper schiodare di un millimetro l’inerzia della disastrata macchina sanitaria regionale.

La Calabria è agli ultimi posti nel piano vaccinale (68,7% di dosi somministrate su quelle ricevute contro una media nazionale del 79,7%) e in questi mesi non ha fatto quasi nulla per potenziare le sue strutture, con i posti letto in terapia intensiva (152) assai lontani dall’obiettivo fissato dal Decreto legge 34/20 (273, vale a dire 0,14 per ogni mille abitanti).

Nelle prossime settimane verrà definito il Recovery Plan nazionale verso il quale la Calabria, forse più che ogni altra regione meridionale, considerata la straordinaria gravità della sua crisi socio-economica, sta maturando attese di palingenetica trasformazione. Come pensare che sia il Facente Funzione l’interlocutore del governo nazionale?

Ha ragione Luigi De Magistris a chiedere che si voti almeno la prima domenica utile all’interno della finestra temporale decisa dal governo, cioè il 19 settembre, senza allungare oltre una luogotenenza divenuta abnorme e dannosa. Il candidato venuto dal Nord, dall’antica capitale del Mezzogiorno, può tuttavia spendere bene questa imprevista dilazione. Non nel replicare alle vuote critiche che gli muovono i fautori di un micro-sovranismo che reclamano “calabresità” per la presidenza della Regione.

C’è un altro sovranismo dal quale, invece, De Magistris dovrà smarcarsi se vuole tenere accese le speranze di quella maggioranza assoluta di Calabresi, quasi il 56%, che alle ultime votazioni non si sono neppure presentati alle urne. È quello dei neo-borbonici che vorrebbero contrastare con la medesima formula il progetto disgregante di autonomia differenziata che viene dalle regioni più ricche del Paese o addirittura con la minaccia di secessione del Mezzogiorno dall’Italia.

Su questo punto sarebbe auspicabile una presa di posizione chiara da parte di De Magistris, un no fermo al M24A-ET (Movimento 24 Agosto – Equità Territoriale), la creatura politica di Pino Aprile che esordisce per la prima volta proprio alle elezioni calabresi, e al Partito del Sud fondato da Antonio Ciano che denuncia da anni il “genocidio” del popolo meridionale con oltre un milione di morti (sic!) nel passaggio dalle Due Sicilie alla nuova Italia.

La dichiarata rinuncia a ogni forma di mero revanscismo territoriale sembra, del resto, una condizione imprescindibile se, come sarebbe certo lecito, il candidato venuto dal Nord nutrisse un’ambizione assai più ampia e dopo aver governato Napoli e la Calabria aspirasse a porsi alla testa di un movimento nazionale. I precedenti storici potrebbero confortarlo. I moti rivoluzionari del ’48 contro i regimi assolutisti, in Italia e in Europa, furono preceduti dai moti di Reggio Calabria del 2 settembre 1847 contro la monarchia reazionaria dei Borbone.