Settant’anni ma è come se fosse stata scritta ieri. Ieri perché molti degli articoli della «Dichiarazione universale dei diritti umani» sono ancora lettera e non «spirito», carta e non «carne», vita e storia delle persone.

I diritti sono un cammino e una responsabilità. Qualcosa che nasce da un’aspirazione alla libertà e alla dignità, da un desiderio di pace e di giustizia. Dal sogno di una società dove chiunque, a prescindere da condizione, sesso, appartenenza etnica e culturale, riferimenti politici e religiosi, possa esprimere la sua personalità e mettere a disposizione le sue qualità e il suo talento. I diritti sono l’anello di congiunzione tra il bene del singolo e quello della comunità, nell’inesauribile tessitura che li lega e, vicendevolmente, li nutre.

Ma per arrivare a questo non basta la politica – che pure ha come prioritario compito il tradurre quell’aspirazione in realtà. Occorre il contributo di tutti, e oggi come non mai dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che se i diritti sono così fragili è anche perché non li abbiamo difesi con adeguata forza e continuità, svolgendo sino in fondo il nostro ruolo di cittadini.

Giusto allora denunciare lo scandaloso abisso tra il contenuto di quegli articoli e il mondo come si presenta oggi ai nostri occhi: povertà, disoccupazione, guerre, disastri ambientali, migrazioni o, per meglio dire, deportazioni indotte. Un mondo dove il sogno di una società inclusiva, democratica, è stato abbandonato in nome di una logica economica selettiva, «algoritmi» del profitto non di rado coincidenti con dinamiche mafiose e criminali.

Giusto denunciarlo così come denunciare una politica in gran parte impotente, inadeguata o spregiudicata fino al cinismo – vedi i negoziati con dittature e Paesi in mano a bande criminali per arrestare i flussi migratori, vedi la propaganda del sovranismo, dove l’odio e l’oblio – odio dello straniero, oblio della propria storia – diventano leve di consenso e di potere.

Giusto e necessario. Ma ancora più importante è impegnarsi perché l’anniversario di ieri diventi un nuovo inizio, una storia dei diritti tradotti davvero in linguaggio universale, in grammatica dei rapporti non solo fra Paesi e popoli, ma fra persone e ambiente, perché è tempo ormai – come ci ricorda la «Laudato sì» di Papa Francesco – di riconoscere alla Terra la sua inviolabile dignità e di elevarla a soggetto giuridico, soggetto di diritti.

Solo così i diritti umani possono riacquistare l’universalità che li definisce come tali e diventare nel concreto bene comune, base di una società dove ogni persona sia riconosciuta nel suo essere sempre fine e mai mezzo, artefice della propria e della altrui liberazione.

*Gruppo Abele Libera