Il personaggio più in vista della retata di ieri per corruzione nei palazzi del potere è il deputato di lungo corso Antonio Marotta (nella foto), detto Nino, confluito in Area popolare, il gruppo di Angelino Alfano che ha fuso Ncd e Udc, proveniente da Forza Italia.

Marotta viene dal Cilento, Torchiara, e in quanto avvocato a Salerno è stato scelto per ben due volte come membro laico del Consiglio Superiore della magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. Due anni fa su di lui confluirono i voti del centrodestra dopo il passo indietro obbligato di Luigi Vitali in quanto imputato in due processi. Marotta, per il quale la gip Maria Giuseppina Guglielmi ha derubricato le accuse più pesanti e rifiutato la richiesta di arresto e il capo di imputazione di associazione a delinquere dei pm Paolo Ielo e Stefano Rocco Fava, alla Camera è nella commissione Giustizia, ma ha anche avuto finora un ruolo strategico essendo nella commissione parlamentare che valuta le richieste d’arresto degli eletti.

Coinvolto da intercettazioni telefoniche «causali e imprevedibili» nell’operazione «Labirinto» portata avanti dal 2013 dalla Guardia di Finanza – quella che ieri all’alba ha portato all’arresto di 24 persone e all’imputazione complessivamente di 50 – Marotta è accusato non più di corruzione ma di influenza illecita, non più di riciclaggio ma di ricettazione e infine di finanziamento illecito ma solo in un caso e quindi alla fine rischia una pena massima di tre anni.

Non era in ogni caso l’avvocato salernitano ex azzurro il fulcro del «sistema affaristico-criminale» scoperto dai finanzieri e dai due sostituti della procura di Roma in una trama che interessava non soltanto la capitale e il Lazio, ma anche Campania, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, Marche e Umbria.

Il personaggio cardine era invece il faccendiere Raffaele Pizza, calabrese, fratello dell’ex sottosegretario all’Istruzione del quarto governo Berlusconi (2008-2011) Giuseppe Pizza, anche lui finito nell’inchiesta in qualità di indagato per riciclaggio. Quello stesso Giuseppe Pizza, ex mastelliano, che è l’attuale detentore del simbolo dello scudocrociato e, in quanto tale, segretario di ciò che ancora si chiama Democrazia cristiana.

Per capire qual è il senso dell’inchiesta «Labirinto», che ha portato a decine di perquisizioni in varie città, a 24 ordinanze di custodia cautelare di cui 12 in carcere e 12 ai domiciliari, basti sapere che i reati contestati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale alla truffa ai danni dello Stato e all’appropriazione indebita, passando per corruzione e riciclaggio di denaro sporco.

In pratica un giro di fatture inesistenti, passaggi di denaro a società fittizie, create attraverso prestanome, rimborsi truccati o privilegiati, appalti e subappalti ritoccati o aggiudicati per via preferenziale ad amici di potenti o loro familiari, fondi neri destinati ad alimentare il sistema di tangenti e clientele. Il tutto è venuto a galla a seguito delle segnalazioni di un consulente tributario onesto che si era imbattuto in questa palude. Nella quale rimestavano affari anche un commercialista di grido, Alberto Orsini -con uffici nella centralissima piazza in Lucina, a due passi dal Parlamento – e due dipendenti infedeli dell’Agenzia delle Entrate.