Cara Direttrice, con stupore ho letto l’articolo di ieri a firma Massimo Franchi. Lo stupore riguarda sia la forma sia la sostanza dell’articolo.

La forma: riprendere una fonte anonima. Come Associazione Bancaria Italiana abbiamo sempre dato e diamo ampia disponibilità a fornire ufficialmente spiegazioni e argomentazioni sul tema.

Nella sostanza: le banche stanno sicuramente valutando, nell’ambito delle loro specifiche strategie, le novita’ in tema di contratti di lavoro, ma è certo che qualsiasi riflessione parte da una ovvia constatazione. Il trasformare contratti di lavoro per loro natura da temporanei a contratti a tempo indeterminato (a tutele crescenti), accresce il merito creditizio di chi vuol domandare un mutuo.

Sia le modalità operative presenti in tutti i mercati bancari europei sia le norme di vigilanza europee spingono affinché le erogazioni di mutui alle famiglie siano volte a permettere l’acquisto di una casa (spesso di residenza) senza rischiare che l’indebitamento (sano) diventi sovraindebitamento, con tutte le negative conseguenze per la famiglia ma anche per chi affida i suoi risparmi alle banche.

Inoltre, proprio per ridurre il rischio di sovraindebitamento, si sono andati affermando strumenti (pubblici e privati) che supportano le famiglie in caso di incapacità temporanea a ripagare le rate di mutuo. Ricordiamo, tra l’altro: il fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, il recente accordo ABI-Associazioni dei Consumatori in tema di “moratoria” dei finanziamenti alle famiglie, lo sviluppo di specifiche forme assicurative correlate ai finanziamenti.

L’ampia gamma di strumenti in essere a cui si associano offerte commerciali differenziate da banca a banca permettono di rispondere alle esigenze delle famiglie. I dati più recenti sulla forte ripresa delle nuove erogazioni dei mutui (oltre il 30%) ne sono una piena conferma.

Giovanni Sabatini, Direttore Generale Associazione Bancaria Italiana (Abi)

La risposta di Massimo Franchi

La lettera del direttore generale dell’Abi, nel merito, conferma per intero il contenuto dell’articolo. Quanto al metodo, ho dovuto citare una fonte anonima proprio perché l’Abi stessa non ha ancora preso una posizione ufficiale su come tratterà i lavoratori con contratto a tutele crescenti.

Le posizioni espresse in dichiarazioni sui giornali sono tutte ambigue (il presidente Abi Patuelli che parla di «positività» rimandando «alle regole europee»).

La verità è, appunto, che finché le banche non potranno stimare il fattore di rischio del nuovo contratto – e cioè la percentuale di licenziamenti – lo faranno pagare direttamente ai lavoratori a tutele crescenti: come documentato, il mutuo per loro costerà un ottavo – il 12 per cento – in più rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato vecchia maniera. Con il Jobs act le tutele crescenti ci sono solo per le banche.